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Cassazione: il medico deve discostarsi dalle linee guida se inadeguate

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Secondo la Corte di Cassazione il rispetto delle linee guida non esonera il medico da colpa grave se inadeguate al caso. La vicenda

La Corte di Cassazione ha ribadito, con la sentenza n. 40316 del 4 novembre 2024, un principio cruciale in materia di responsabilità medica: il sanitario ha il dovere di discostarsi dalle linee guida quando le condizioni cliniche del paziente e le buone prassi mediche lo richiedano. Tale obbligo si configura in particolare nei casi in cui il rispetto delle linee guida risulti inadeguato rispetto all’obiettivo della migliore cura possibile per il paziente.

Il caso in esame

La vicenda riguardava una paziente bicesarizzata, giunta in ospedale con algie pelviche, testa fetale impegnata, dilatazione zero e un quadro clinico che suggeriva un controllo continuo, in linea con le buone prassi mediche. La presenza della testa fetale a ridosso della cicatrice uterina rappresentava un chiaro segnale di rischio per la possibilità di una rottura uterina. Nonostante ciò, dopo la somministrazione del farmaco Miolene per arrestare le contrazioni, la paziente è stata lasciata senza un monitoraggio continuo per quattro ore. Durante questo intervallo, si è verificata una rottura dell’utero, seguita da emorragia e intervento chirurgico tardivo che non ha potuto salvare il neonato, morto per grave sofferenza ipossica.

La Corte territoriale, così come la Suprema Corte, ha ritenuto la condotta omissiva del medico penalmente censurabile, individuando un grado di colpa grave nella mancata predisposizione di un monitoraggio costante e nell’assenza di una diagnosi tempestiva.

La difesa e la posizione della Cassazione

La difesa del sanitario si era fondata sul rispetto scrupoloso delle linee guida, che non prevedevano l’obbligo di un monitoraggio cardiotocografico continuo in assenza di specifiche condizioni, ritenute non presenti nel caso concreto. Inoltre, si era sostenuto che l’eventuale colpa, al massimo, poteva essere qualificata come lieve, invocando l’applicazione dell’art. 3 della Legge Balduzzi, all’epoca in vigore, che escludeva la punibilità in presenza di colpa lieve.

La Suprema Corte ha rigettato questa linea difensiva, richiamando la giurisprudenza consolidata che attribuisce alle linee guida una funzione orientativa, non vincolante. Le linee guida, secondo i giudici, non hanno carattere precettivo assoluto, bensì devono essere considerate come regole cautelari flessibili, valide solo se adeguate al caso specifico. Come stabilito dalle Sezioni Unite Mariotti (SS. UU. n. 8870/2017), il medico è chiamato a verificare se, nel quadro clinico concreto, il rispetto delle linee guida sia compatibile con l’obiettivo di garantire la migliore cura possibile.

Le implicazioni della sentenza

La Cassazione ha sottolineato che il rispetto delle linee guida, quando queste si rivelino inadeguate al caso concreto, non esonera il sanitario da colpa grave. Anzi, il medico ha il dovere di adottare un approccio critico, discostandosi dalle indicazioni standard quando le condizioni cliniche del paziente lo richiedano. In definitiva, la sentenza conferma un principio fondamentale per la responsabilità medica: le linee guida non rappresentano uno “scudo” per il sanitario, ma uno strumento di orientamento che deve essere integrato con una valutazione attenta e personalizzata del paziente.

La vicenda pone l’accento sull’importanza di un approccio medico che, pur basandosi sulle linee guida, sia sempre in grado di adattarsi alle specificità del paziente. Un monitoraggio costante e una diagnosi tempestiva avrebbero potuto evitare l’esito infausto di questo caso, evidenziando come l’aderenza cieca agli standard non possa mai sostituire la responsabilità e il giudizio clinico del medico.

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