Italian Medical News

Alzheimer: scoperta nuova possibile causa

Tempo di lettura: 2 minuti

Un nuovo studio può stravolgere la comprensione e l’approccio terapeutico dell’alzheimer. Ecco di cosa si tratta

All’origine dell’Alzheimer potrebbe esserci un’interruzione della comunicazione tra il nucleo delle cellule (che ospita il DNA) e il citoplasma, che comprende tutti i componenti cellulari esclusi il nucleo e gli organelli. Questo blocco nel trasporto cellulare sarebbe provocato dall’accumulo nel cervello di granuli di stress (SG), cioè “condensati citoplasmatici senza membrana che contengono mRNA non tradotto, fattori di pre-inizio della traduzione e proteine leganti l’RNA (RBP)”. Si tratta di aggregati di RNA e proteine che si formano in risposta a condizioni di stress, scatenate da diversi fattori. Il loro scopo è proteggere l’RNA e le proteine, ma quando il loro accumulo nel cervello diventa cronico, possono alterare l’espressione di migliaia di geni, innescando una serie di eventi che conducono alla neuroinfiammazione e alla neurodegenerazione, fino allo sviluppo dell’Alzheimer. In questo contesto, rientrano anche gli accumuli di proteina beta-amiloide e tau, anomalie ben note nei pazienti affetti da Alzheimer.

Questa teoria rivoluzionaria è stata avanzata da un team di ricerca del Banner Neurodegenerative Disease Research Center, parte dell’Istituto di Biodesign dell’Università Statale dell’Arizona. Guidati dal professor Paul Coleman, gli studiosi hanno formulato le loro conclusioni analizzando i dati di un precedente studio del 2022. In quell’indagine, un team coordinato dal professor Morgan aveva rilevato che nei pazienti affetti da Alzheimer si osservavano alterazioni in oltre il 90% dei percorsi genetici mappati nel KEGG (Kyoto Encyclopedia of Genes and Genomes), un ampio database bioinformatico che raccoglie informazioni su geni, proteine e malattie.

Le parole del Prof. Coleman

“La nostra proposta, incentrata sulla rottura della comunicazione tra nucleo e citoplasma che porta a massicce interruzioni nell’espressione genica, offre un quadro plausibile per comprendere in modo completo i meccanismi che guidano questa complessa malattia – ha dichiarato in un comunicato stampa il professor Coleman. “Studiare queste prime manifestazioni dell’Alzheimer potrebbe aprire la strada ad approcci innovativi alla diagnosi, al trattamento e alla prevenzione, affrontando la malattia alle sue radici – ha aggiunto l’esperto.

Correggere questa disfunzione potrebbe costituire la strategia più efficace per prevenire le diverse forme di demenza. Poiché i primi segnali dell’Alzheimer emergono anni prima della manifestazione clinica della malattia, è plausibile ipotizzare che l’accumulo dei granuli di stress abbia inizio in una fase ancora più precoce.

“Il nostro articolo contribuisce al dibattito in corso su quando inizia davvero l’Alzheimer, un concetto in evoluzione plasmato dai progressi della tecnologia e della ricerca. Le domande chiave sono quando può essere rilevato per la prima volta e quando si dovrebbe iniziare a intervenire, entrambe con profonde implicazioni per la società e per i futuri approcci medici”ha concluso il professor Coleman. La ricerca di Coleman e colleghi è visionabile sulla rivista scientifica ‘Alzheimer’s and Dementia: The Journal of the Alzheimer’s Association’.

Clicca qui per leggere l’estratto originale.

Potrebbe interessare anche Alzheimer: studio svela come combattere le proteine tossiche

Alzheimer
Condividi:
italian medical news
ISCRIVITI Subito ALLA NEWSLETTER
non perderti le news!
ISCRIVITI Subito ALLA NEWSLETTER
non perderti le news!