Ripetuti episodi di violenza di genere nei confronti delle donne creano alterazioni neuronali e comportamentali nelle stesse. Ne parla un nuovo studio internazionale
A cura di Davide Pezza
La violenza di genere crea danni al cervello delle donne. Arrivano infatti le prime evidenze scientifiche. In un modello sperimentale animale, le aggressioni fisiche e psicologiche esercitate da un maschio sul corpo femminile inducono alterazioni nella funzionalità di specifiche aree cerebrali. In particolare, si osserva un deterioramento dell’ippocampo, una regione chiave per i processi cognitivi, come memoria e apprendimento, e coinvolta anche nei meccanismi di orientamento spaziale, regolazione dell’umore e gestione delle emozioni. Questo è quanto emerge da uno studio preclinico coordinato dall’Ateneo di Padova, in collaborazione con la Johns Hopkins University di Baltimora ed altre prestigiose istituzioni nazionali e internazionali nell’ambito del progetto europeo PINK (Marie Sklodowska-Curie Actions), pubblicato sulla rivista iSCIENCE.
La ricerca ha dimostrato che, in seguito a episodi violenti e ripetuti, l’organismo femminile subisce una significativa riduzione nella produzione di nuove cellule neuronali nell’ippocampo, e probabilmente in altre aree cerebrali, accompagnata da un incremento della morte neuronale. Si è scoperto inoltre che soggetti sperimentali sottoposti a violenza psicologica e fisica sviluppano nel tempo comportamenti di tipo ansioso-depressivo, a cui è associata una drastica riduzione di uno dei sottotipi dei recettori degli estrogeni, ovvero i cosiddetti recettori beta.
Le parole del primo autore dello studio
“Con l’aiuto di colleghi neuroscienziati del CNR (Marco Brondi e Claudia Lodovichi), attraverso studi preclinici, abbiamo dimostrato l’effettiva esistenza di un nesso causale tra la mancanza di questo tipo di recettori per gli estrogeni e lo sviluppo di anomalie del comportamento” – spiega il dott. Jacopo Agrimi primo autore del lavoro.
“Abbiamo poi esaminato – prosegue l’esperto – lo stato di una proteina chiamata brain-derived neurotrophic factor (BDNF), fondamentale per la crescita, lo sviluppo e il mantenimento della struttura e funzionalità delle cellule nervose adulte; nell’essere umano, i livelli normali di BDNF sono essenziali per il controllo dell’umore, per mantenere le capacità cognitive, e per reagire a diverse forme di stress. Non sorprendentemente, abbiamo riscontrato che mimare la violenza tra partners in modelli sperimentali animali porta ad una riduzione nell’ippocampo anche di questo fattore, il BDNF. Questa eventualità potrebbe spiegare ancor meglio perché donne vittime di violenza domestica possano sviluppare nel tempo gravi patologie psichiatriche e neurologiche”.
Uno studio unico nel suo genere
Fino ad oggi, pochi studi sperimentali hanno indagato le conseguenze strutturali di una violenza fisica e psicologica ripetuta, come quella esercitata da un partner violento, sul sistema nervoso centrale femminile. Nella maggior parte dei modelli sperimentali, infatti, l’attenzione si è concentrata sull’impatto dello stress imposto da un maschio su un altro maschio. Tuttavia, la violenza perpetrata da un maschio su una femmina sembra avere effetti diversi e significativamente più profondi. Questo studio ha esaminato per la prima volta le conseguenze specifiche in determinate aree del cervello femminile, derivanti da un’interazione violenta e prolungata tra i due sessi, nonché il possibile indebolimento dei meccanismi fisiologici di protezione che garantiscono il mantenimento e la funzionalità delle cellule cerebrali.
Considerate le attuali lacune nella nostra comprensione delle ripercussioni strutturali e funzionali che la violenza domestica può avere sul cervello e su altri organi delle donne, questo studio rappresenta un’importante svolta, offrendo nuove prospettive per comprendere meglio le conseguenze di questa terribile forma di violenza, la cui incidenza continua tristemente a crescere ogni giorno. Le nuove conoscenze acquisite potrebbero aprire la strada a interventi più efficaci per la prevenzione e il trattamento.
Un’ulteriore prospettiva terapeutica, sostenuta anche dalle ricerche condotte all’Università di Padova, proviene dagli Stati Uniti, dove l’uso di sostanze che stimolano i recettori beta degli estrogeni è stato approvato per trattare i disturbi dell’umore nelle donne all’inizio della menopausa. Questa strategia potrebbe rivelarsi promettente anche nel contesto delle ripercussioni della violenza domestica.
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