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Tumore del retto localmente avanzato: le ultime novità terapeutiche – Dott. Daniele Checcacci

Tempo di lettura: 6 minuti

Nuova puntata di ‘Conoscere l’Oncologia’, la rubrica dedicata agli approfondimenti oncologici. Questa volta, insieme al Dott. Daniele Checcacci, esaminiamo le ultime innovazioni nel trattamento del tumore tumore del retto localmente avanzato

Negli ultimi anni, il trattamento del tumore del retto localmente avanzato ha subito un’evoluzione significativa, grazie a nuovi approcci terapeutici che stanno ridefinendo le strategie di cura. Studi recenti hanno introdotto il concetto di terapia neoadiuvante totale (TNT), aprendo la strada a scenari inediti, come la possibilità di evitare l’intervento chirurgico in pazienti selezionati. Inoltre, l’immunoterapia sta mostrando risultati promettenti in sottogruppi specifici di pazienti, segnando un ulteriore passo avanti nella personalizzazione delle cure.

Per approfondire questi aspetti, abbiamo intervistato il Dott. Daniele Checcacci, Dirigente Medico di Oncologia presso l’Azienda USL Toscana Centro, che ci guiderà attraverso le innovazioni più rilevanti nel trattamento del tumore del retto localmente avanzato.

Un’importante distinzione

Spesso si parla genericamente di carcinoma del colon-retto, ma a quanto pare, sono due entità nosologiche distinte: ci può dire quali sono le peculiarità dei tumori del retto ed in cosa si distingue dai restanti tumori del colon?

“Sì, spesso si parla genericamente di tumori del colon-retto, ma in realtà il tumore del retto e quello del colon sono due entità distinte, con differenze sia anatomiche che cliniche. Il retto è il prolungamento naturale del colon, motivo per cui queste due neoplasie vengono spesso considerate insieme. Tuttavia, presentano caratteristiche diverse: Dal punto di vista clinico, il tumore del retto tende a manifestarsi con sintomi più evidenti e precoci, come rettorragia, dolore e tenesmo. Al contrario, i tumori del colon, soprattutto quelli localizzati nel colon trasverso e nel colon destro, possono avere una sintomatologia più subdola e sfumata, fino a risultare quasi asintomatici nelle fasi iniziali”.

“Anche la diagnosi segue percorsi differenti: nel caso del tumore del retto, è sempre prevista una risonanza magnetica della pelvi con m.d.c. fondamentale per valutare l’estensione locale della malattia. Per il tumore del colon, invece, questo esame non è parte del protocollo diagnostico standard. Un’altra differenza sostanziale riguarda il trattamento. Nei tumori del retto localmente avanzati, è prevista la radioterapia neoadiuvante, che ha un ruolo cruciale nel ridurre il volume tumorale prima dell’intervento chirurgico. Questo approccio non è invece utilizzato nel tumore del colon, dove la chirurgia è il trattamento principale già nelle fasi iniziali. Infine, all’interno del tumore del retto stesso, è importante distinguere tra retto alto (intraperitoneale) e retto medio-basso (extraperitoneale): Il retto alto ha un comportamento più simile a quello del colon, mentre il retto medio e basso presenta le peculiarità che abbiamo appena descritto, rendendo necessario un approccio terapeutico specifico”.

Due studi fondamentali: lo studio RAPIDO e lo studio PRODIGE 23

Quali sono le principali innovazioni terapeutiche per il trattamento del tumore del retto localmente avanzato introdotte di recente e quali benefici concreti stanno apportando queste in termini di efficacia e sicurezza per i pazienti?

“Sì, effettivamente negli ultimi anni il trattamento del tumore del retto localmente avanzato ha subito profondi cambiamenti, con importanti innovazioni nella strategia terapeutica. In particolare, tra la fine del 2020 e l’inizio del 2021 (mentre l’attenzione del mondo sanitario e non solo, era concentrata sulla pandemia da COVID-19), sono stati pubblicati due studi fondamentali: lo studio RAPIDO e lo studio PRODIGE 23. Questi studi hanno modificato significativamente l’approccio terapeutico a questa patologia, introducendo un nuovo paradigma di impiegare la chemioterapia”.

“Tradizionalmente, la chemioterapia veniva somministrata in fase adiuvante (oltre che in concomitanza alla radioterapia “ long-course” in fase neoadiuvante), quindi dopo l’intervento chirurgico. Tuttavia, entrambi gli studi hanno valutato un diverso approccio, ovvero il concetto di total neoadjuvant therapy (TNT), in cui la chemioterapia viene somministrata prima dell’intervento chirurgico, sia in modo esclusivo, cioè “ da sola”  prima o dopo della combinazione “ di radio-chemio concomitante”( studio PRODIGE 23) o della radioterapia esclusiva in caso di schema “ short-course” ( studio RAPIDO)”.

  • Lo studio PRODIGE 23 in particolare ha testato l’utilizzo della chemioterapia FOLFIRINOX (una combinazione di tre farmaci solitamente impiegata nelle forme metastatiche del tumore del colon) come trattamento up-front per il tumore del retto localmente avanzato per 4 mesi, seguita poi dalla classica radio-chemioterapia con fluoropirimidine e, infine, dall’intervento chirurgico dopo un intervallo di 8circa 8 settimane.
  • Lo studio RAPIDO, invece, ha introdotto il concetto di chemioterapia di consolidamento, in cui la chemioterapia viene somministrata nell’intervallo tra la fine della radioterapia (schema short-course) e l’intervento chirurgico“.

“Questi studi sono stati inizialmente progettati per migliorare la tollerabilità e la sostenibilità della chemioterapia nel percorso terapeutico, poiché spesso, dopo l’intervento chirurgico, i pazienti non riuscivano a completare il trattamento in modo ottimale. Tuttavia, i risultati hanno dimostrato non solo una migliore adesione alla terapia, ma anche un miglioramento significativo degli outcome clinici“.

“Nello specifico, si è osservato:

  • Un beneficio assoluto dell’8% a tre anni in termini di sopravvivenza libera da malattia rispetto ai pazienti trattati con lo schema tradizionale.
  • Un incremento delle risposte patologiche complete (cioè l’assenza di  tumore residuo nell’esame istologico dopo l’intervento), con il 28% dei pazienti trattati con TNT che ha ottenuto una risposta completa, rispetto al 12% del gruppo di controllo”.

“Questi risultati hanno aperto un nuovo scenario nella gestione della malattia: dato che circa un terzo dei pazienti ottiene una risposta patologica completa, si è iniziato a valutare la possibilità di evitare l’intervento chirurgico in casi selezionati. Da qui è nata la strategia del “non-operative management”, ovvero un approccio in cui i pazienti con risposta strumentale ed istopatologia completa al trattamento neoadiuvante vengono sottoposti a un attento follow-up invece di essere avviati alla chirurgia”.

“Questa strategia prevede uno stretto follow up, con rettoscopie periodiche e risonanze magnetiche per individuare precocemente  una ripresa della malattia ed inviare il paziente ad una chirurgia cosiddetta “di salvataggio”  che ha comunque dimostrato buoni risultati”.

“In sintesi, questi studi hanno segnato un cambio di paradigma nel trattamento del tumore del retto localmente avanzato, migliorando sia la tollerabilità delle terapie che gli esiti clinici, e aprendo la strada a nuove strategie terapeutiche personalizzate”.

Dostarlimab per un gruppo ristretto di pazienti

Qual è il ruolo delle terapie mirate o dell’immunoterapia nel trattamento del tumore del retto localmente avanzato, e quali risultati promettenti emergono dagli studi clinici?

“Nonostante il tumore del retto non sia tradizionalmente una neoplasia caratterizzata dall’ingresso di numerosi farmaci innovativi, negli ultimi tempi sono emersi dati molto promettenti sull’immunoterapia, in particolare per un sottogruppo ristretto di pazienti”.

“Una delle caratteristiche biologiche più rilevanti in alcuni tumori del retto è la instabilità dei microsatelliti (MSI-H). Questa condizione conferisce alla neoplasia un fenotipo ipermutabile, ovvero la capacità di accumulare un numero molto elevato di mutazioni, generando così una grande quantità di neoantigeni tumorali. Questa peculiarità rende questi tumori particolarmente sensibili alle terapie immunologiche, poiché il sistema immunitario può riconoscere e attaccare più facilmente le cellule tumorali”.

“Uno dei farmaci più studiati in questo ambito è Dostarlimab, un inibitore di PD-1 che agisce potenziando la risposta immunitaria contro il tumore. I risultati ottenuti dagli studi clinici con Dostarlimab sono stati sorprendenti, con risposte patologiche complete prossime al 100% e risposte particolarmente durature nel tempo. Tuttavia, bisogna sottolineare che questa sottopopolazione di tumori MSI-H rappresenta solo circa il 5% di tutti i tumori del retto, quindi l’applicabilità di questa terapia è limitata a un gruppo ristretto di pazienti”.

“Nonostante questo, l’efficacia straordinaria dell’immunoterapia in questi casi ha portato a un’accelerazione nei percorsi registrativi, e Dostarlimab è già disponibile in Italia grazie alla Legge 648, che consente l’accesso ai farmaci innovativi in determinate condizioni prima della loro approvazione definitiva”.

Il non-operative-management

Come si personalizzano oggi i trattamenti per i pazienti, considerando le caratteristiche specifiche del tumore e le esigenze individuali?

“Le innovazioni terapeutiche recenti hanno reso possibile, in una percentuale non trascurabile di casi, di ottenere una risposta patologica completa. In questi pazienti si può quindi considerare un’alternativa all’intervento chirurgico tradizionale: il non-operative management“.

“Questa strategia viene proposta, al momento, in maniera personalizzata, valutando attentamente il singolo paziente e le caratteristiche specifiche del tumore e non costituisce ancora uno standard terapeutico. In particolare, può essere una valida opzione nei casi in cui l’intervento chirurgico risulterebbe altamente invasivo e mutilante, come accade spesso nei tumori del retto basso. In queste situazioni, infatti, il trattamento standard prevede la amputazione addomino-perineale (intervento di Miles), che comporta l’asportazione completa del retto e dello sfintere anale, con la necessità di una colostomia definitiva. È facile intuire quanto questo tipo di intervento possa avere un impatto significativo sia sul piano fisico che psicologico per il paziente”.

“Per questo motivo, nei pazienti che ottengono una risposta patologica completa dopo trattamento neoadiuvante, si può proporre un approccio meno invasivo, rispettando anche il loro desiderio di evitare una chirurgia altamente mutilante. Fino a pochi anni fa, questa opzione era impensabile per il tumore del retto, ma oggi, grazie ai progressi nelle terapie, sta diventando una possibilità concreta in un numero crescente di casi”.

Un commento finale

Vuole aggiungere altro?

“Sì, direi che questi due studi, ai quali ne sono seguiti anche altri nella stessa direzione ( studio OPRA), rappresentano un ottimo esempio di come l’innovazione in oncologia non dipenda esclusivamente dalla scoperta di nuovi farmaci con meccanismi d’azione inediti o target innovativi. Spesso, infatti, il progresso deriva anche dalla ottimizzazione e riorganizzazione dell’uso di farmaci già esistenti, magari considerati obsoleti, ma riproposti in modo diverso all’interno delle strategie terapeutiche”.

“Nel caso del tumore del retto, ad esempio, abbiamo assistito a un cambiamento significativo proprio grazie a un diverso impiego di farmaci già noti. Questo approccio potrebbe essere applicato anche ad altre patologie oncologiche, studiando la possibilità di riposizionare farmaci consolidati all’interno di nuovi schemi di trattamento”.

“Tuttavia, affinché ciò avvenga, è fondamentale il supporto delle autorità regolatorie e della ricerca clinica indipendente. Spesso, infatti, i farmaci già in commercio e privi di copertura brevettuale non ricevono investimenti per ulteriori sperimentazioni da parte dell’industria farmaceutica. Per questo, è necessario promuovere studi indipendenti che possano esplorare il potenziale clinico di terapie esistenti, massimizzandone l’efficacia attraverso nuove strategie di utilizzo”.

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Dott. Daniele Checcacci
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