Italian Medical News

Neuropolitica e studio delle viralità delle news (vere o false che siano)

Tempo di lettura: 6 minuti

LA RUBRICA TRATTA LE DIVERSE DIMENSIONI E AREE DELLA PSICOLOGIA. È CURATA, PER ITALIAN MEDICAL NEWS, DALLE PSICOLOGHE E DAGLI PSICOLOGI DEL SINDACATO NAZIONALE PLP – PSICOLOGI LIBERI PROFESSIONISTI

Autore: Prof. Vincenzo Russo – Professore Ordinario di Psicologia dei Consumi e Neuromarketing, Ph.D Coordinatore del Centro di Ricerca di Neuromarketing “Behavior and Brain Lab” – Università IULM
Titolo Elaborato: Neuropolitica e studio delle viralità delle news (vere o false che siano)

È ormai consolidata l’idea che la comunicazione pubblicitaria si serve di una modalità di influenzamento che fa appello non tanto alla ragione o ai processi cognitivi quanto piuttosto alle emozioni e al desiderio di confermare una specifica identità personale e/o sociale. Questo spiega perché l’acquisto di prodotti o servizi avvenga non tanto per il loro valore d’uso, quanto per il significato che ad essi viene attribuito da parte di un soggetto interessato ad avere un’esperienza emozionale ed estetica, o a manifestare la propria immagine, o a comunicare la propria appartenenza ai gruppi sociali di riferimento.

Questo meccanismo seduttivo, tuttavia, solleva la questione dell’influenzamento attraverso la verosimiglianza o l’emozione che provoca, a dispetto della verità delle cose. Un tema che nella comunicazione mediatica, e soprattutto politica, ha assunto un ruolo determinante. Si pensi per esempio al dibattito sulla veridicità delle informazioni nei canali social. In un’epoca caratterizzata dal potere delle immagini più che alla valutazione attenta delle argomentazioni, il tema di ciò che “appare verosimile” sembra oltrepassare la ricerca dell’affidabilità, assumendo di per sé una connotazione di veridicità, indipendentemente da chi comunica.

Il grado di condivisione, la diffusione della notizia e la sua pervasività, divengono potenti elementi di garanzia. Spesso, anche se la notizia appare come potenzialmente falsa o addirittura ridicola, circola comunque on line, venendo condivisa da migliaia di persone, molte delle quali finiscono per considerarla vera anche grazie al ricorsivo processo di diffusione sui propri network. Non stupiamoci allora se qualche tempo fa la direttrice del Guardian, Katharine Viner, parlando dell’indebolimento dell’importanza sociale della verità ha affermato che “Non è tanto importante che un fatto sia vero, è essenziale che la gente ci clicchi sopra e lo condivida”. Purtroppo, la velocità di diffusione di una notizia, vera o falsa che sia, ha rivoluzionato l’ecosistema dell’informazione e finito per premiare più la tempestività che l’accuratezza.

In questo panorama anche le neuroscienze hanno cercato di dimostrare quali siano i meccanismi che sottostanno a questa forma di seduzione, cercando di studiare se vi fossero dei “predittori” del grado di diffusione e condivisione delle notizie attraverso i social. Uno degli studi più interessanti in tale ambito è quello condotto da Scholz et  al. (2017) sull’attivazione di alcune specifiche aree della corteccia di chi legge una notizia tramite Facebook. Lo studio ha permesso di identificare le notizie che avrebbero avuto maggiore probabilità di divenire virali. Secondo questi autori le persone sono interessate a leggere, o condividere, contenuti legati alle proprie esperienze personali, o alla percezione di chi sono o chi vogliono essere.

Infatti, condividono informazioni che possono migliorare le loro relazioni, farli sembrare brillanti, empatici, o apparire con una luce positiva. Ovviamente questa motivazione è difficilmente dichiarabile dai soggetti in una ricerca con tecniche classiche (interviste, focus group o questionari), ma la possibilità di analizzare le aree del cervello, analizzate con Risonanza Magnetica, che si attivano durante certe azioni, permette di ipotizzare interessanti chiavi di lettura e motivazioni relative ad alcune di esse.

Tornando alla ricerca sulla condivisione dei contenuti, i ricercatori hanno chiesto a un gruppo di volontari di valutare alcuni articoli sulla salute, pubblicati sul New York Times, e di dichiarare poi quali avrebbero letto o condiviso su internet più facilmente. Dopo aver analizzato i tracciati cerebrali relativi all’attivazione in corrispondenza con le notizie che avrebbero condiviso, hanno solto un secondo studio sull’attivazione cerebrale in corrispondenza di una reale attivazione dei tracciati cerebrali dei partecipanti in relazione alla condivisione di questi contenuti via Facebook. Dal confronto dei risultati dei due studi si scopre una relazione precisa tra le aree che si attivano nel primo studio (relativo all’idea di condivisione) e quelle che si attivano nel secondo studio legate alla reale condivisione. Si è anche proceduto a correlare la disponibilità a condividere gli articoli di news di salute, fitness, nutrizione e #Benessere pubblicate sul New York Times, con quanto rilevato in realtà.

Dall’analisi dei dati si rileva che la prima area che si attiva in relazione alla scelta di leggere la notizia è nota per essere collegata al ragionamento su eventi che ci coinvolgono in prima persona (studio 1 in fig. 1). Dopo aver analizzato quali tra le notizie utilizzate avevano ricevuto realmente il numero maggiore di condivisioni sulla rete, i ricercatori hanno analizzato i tracciati cerebrali dei partecipanti, scoprendo nuovamente una relazione precisa non solo con le due aree attivate nel precedente studio, ma anche con un terzo circuito neurale la cui attivazione è collegata all’attribuzione di un valore agli oggetti.

In questa seconda fase, si attivano i circuiti frontali che elaborano le aspettative su sé stessi nella speranza di migliorare la propria immagine agli occhi degli altri, e rafforzare le relazioni sociali. Con la seconda fase dello studio (studio 2 in fig. 1), infatti, e con la lettura di notizie interessanti che meritavano di essere condivise si attivano principalmente tre circuiti nervosi.

Il primo è distribuito tra il Nucleo Striato e la Corteccia Prefrontale Ventro-Mediale ed è conosciuto come il circuito che attribuisce valore alle cose in generale. Il secondo circuito è localizzato tra la Corteccia Prefrontale Mediale e la Corteccia Parietale, ed è coinvolto nell’elaborazione delle aspettative legate alla percezione di noi stessi. Infine, il terzo circuito è sempre localizzato nella Corteccia Prefrontale Mediale ed elabora le aspettative di natura sociale, ovvero quanto vogliamo essere apprezzati dagli altri. In entrambi i casi, dunque, pensiamo sempre sia ai nostri gusti personali, sia a cosa ne potrebbero pensare gli altri, poiché siamo interessati a leggere e condividere contenuti che sono connessi alla nostra storia personale, ma anche alla percezione che abbiamo di chi siamo e di chi vorremmo essere (Fig. 1).

Fig. 1. Analisi attivazione con fRMI delle aree nello Studio 1 – a sinistra – e nello studio 2 – a destra. Si dimostra l’attivazione del Nucleo Striato, della Corteccia Prefrontale VentroMediale e Mediale e della Corteccia Parietale nei due studi

Analizzando soltanto le attivazioni cerebrali è, quindi, possibile prevedere le notizie e i contenuti che potrebbero  diventare virali. L’indagine conferma che se si vuole pubblicare una notizia di successo bisogna presentarla in modo tale che il lettore appaia migliore agli occhi degli altri quando la condividerà.

Questo modello seduttivo, basato sulla capacità di emozionare, e a volte di sconvolgere il sistema, sembra essere stato alla base di alcune efficaci strategie di comunicazione politica. Soffermiamoci però su quella americana di Donald Trump durante la campagna elettorale, senza scomodare possibili riferimenti a situazioni prettamente italiane. Analizzando il modello comunicativo di Trump, in comparazione co quello di Hilary Clinton, si può comprendere la forza emozionale che, probabilmente, è stata alla base del suo successo. Trump ha trovato il modo di farsi condividere tanto. Nelle piattaforme social Trump (Facebook, Instagram, Youtube, Twitter) comunica senza alcun filtro, utilizzando termini coloriti e in molti casi aggressivi.

Spesso ha ironizzato sui commenti degli avversari politici, usando la prima persona singolare e mettendo al centro la persona. HA sempre usato le sue faccine, molto più coinvolgenti del volto sorridente ma non cangainte della Clinton. Guardando il numero di like o followers sembra che la sua strategia sia stata vincente: 11.966.763 like su Facebook, 12.9 mln su Twitter, 2.8 mln di followers su Instagram, 74.154 su Youtube. La sua comunicazione non ha quasi mai parlato alla parte razionale dell’elettorato, ma ha usato le migliori strategie della comunicazione emozionale per persuadere.

Ha usato uno stile “foolproof” (a prova di stupido), trasmettendo pochi, semplici (ed a volte imbarazzanti), ma forti messaggi. La semplicità del messaggio, non supportata da specifici dati o report, è stata alla base di uno stile immediato e convincente. Le parole usate sono poche e pressoché le medesime, ripetute quasi all’infinito. Ha sempre utilizzato termini semplici, chiari, univoci e reiterati permettendo di fissare più facilmente i contenuti.

Per essere condiviso ha usato molto il potere delle immagini. Per questo motivo Trump ha spesso usato metafore e parlato principalmente con immagini. I suoi discorsi sono spesso privi di dati, statiche o qualsiasi altro dato numerico, poiché la sua intenzione è stata quella di inviare messaggi diretti, facilmente comprensibili, immediatamente collegabili a paure ancestrali ed a logiche di separazione (noi vs loro). Anche la sua immagine è sempre stata curata per “bucare” lo schermo e richiamare, in maniera semplice ma forte, l’appartenenza al suo paese o meglio alla sua bandiera. In genere ha sempre “indossato” i colori della bandiera americana: blu scuro il vestito, bianca la camicia e rossa o a righe rosse la cravatta (Fig. 2).

Fig. 2 Lo stile di comunicazione per immagini di Trump è coerente con una strategia della condivisione via social. Il richiamo ai colori della bandiera è sempre molto forte.

Quello che ha voluto comunicare è che lui è sempre stato il migliore esempio dell’America vera e dei suoi americani. Questo emergeva anche dal suo sito internet, che, ancora prima della sua elezione, sembrava essere quello del presidente degli Stati Uniti, poiché ogni parola frase o immagine richiamava gli USA, il patriottismo e il sogno americano. Proprio perché “non siamo macchine pensanti che si emozionano, ma macchine emotive che pensano”, dovremmo preoccuparci della portata suggestiva e persuasiva di questo stile di comunicazione politica.

Potrebbe interessare anche Neuroscienze e Business: una nuova frontiera del management da presidiare

Neuropolitica
Condividi:
ISCRIVITI Subito ALLA NEWSLETTER
non perderti le news!