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In Italia aumenta il Parkinson tra i pazienti under 60

Tempo di lettura: 3 minuti

In crescita il numero di nuovi casi di Parkinson tra gli under 60, con esordio che può verificarsi già a partire dai 40 anni. Ecco i dati

Quando si parla di Parkinson, l’immaginario collettivo lo associa spesso a una malattia tipica della terza età. Eppure, i dati raccontano una realtà più complessa. Secondo un’analisi condotta nel 2024 da Iqvia Italia – realtà di riferimento a livello globale nell’ambito dei dati sanitari e farmaceutici – in Italia si contano oltre 300.000 persone con diagnosi di Parkinson. Sebbene la maggior parte dei pazienti abbia più di 70 anni (84%), cresce il numero di nuove diagnosi tra gli under 60, con casi di esordio che possono manifestarsi già intorno ai 40 anni. Solo nell’ultimo anno, 16.000 persone hanno iniziato un trattamento per la malattia. Questi numeri segnalano un cambiamento che non è solo clinico, ma anche sociale: il Parkinson coinvolge sempre più persone in età lavorativa, con ripercussioni significative sulla quotidianità, sull’attività professionale e sul benessere emotivo dei pazienti e delle loro famiglie.

L’armamentario terapeutico del Parkinson

A un primo sguardo, il panorama terapeutico del Parkinson appare stabile, ma un’analisi più approfondita – evidenzia ancora Iqvia – rivela una graduale evoluzione nelle scelte di trattamento. I farmaci a base di L-Dopa restano il cardine della terapia, rappresentando il 40% delle prescrizioni, ma negli ultimi anni si è registrato un incremento nell’utilizzo degli inibitori della monoamino ossidasi (MAO), passati dal 24% al 29%. Parallelamente, l’impiego degli agonisti della dopamina è calato in modo significativo, passando dal 25% al 18%.

Questa tendenza riflette una maggiore personalizzazione delle terapie, sempre più orientate alle caratteristiche del singolo paziente e alla fase della malattia. Accanto alla L-Dopa, gli inibitori della MAO (come rasagilina, selegilina e safinamide) stanno assumendo un ruolo crescente, mentre gli agonisti dopaminergici (apomorfina, pramipexolo, ropinirolo) vengono utilizzati con maggiore selettività. Si segnala inoltre l’utilizzo, seppur più contenuto, degli inibitori della catecol-O-metiltransferasi (COMT), che rappresentano circa il 4% delle terapie, e degli anticolinergici, prescritti nell’8% dei casi, soprattutto nei pazienti più giovani con tremore predominante.

Le regioni più colpite

La diffusione del trattamento del Parkinson non è uniforme su tutto il territorio nazionale. Le regioni con la maggiore concentrazione di pazienti in cura sono Liguria, Abruzzo e Marche, mentre Lombardia, Emilia-Romagna e Trentino Alto Adige registrano numeri più contenuti. Questo divario è in parte riconducibile alla diversa distribuzione della popolazione anziana, ma può riflettere anche le disomogeneità legate alle politiche sanitarie regionali, alla disponibilità dei farmaci e alla presenza di centri specialistici sul territorio.

Secondo i dati forniti da Iqvia Italia, nell’ultimo anno sono circa 309.000 le persone con diagnosi di malattia di Parkinson nel nostro Paese, mentre 16.000 hanno avviato per la prima volta un trattamento. Una dinamica in linea con quanto riportato nella letteratura scientifica internazionale, ma che evidenzia l’importanza di monitorare con attenzione l’evoluzione della patologia e le strategie terapeutiche adottate.

Necessità di un modello di cura che vada oltre la terapia farmacologica

Il Parkinson non rappresenta solo una condizione clinica da trattare, ma un’esperienza che incide profondamente sulla vita quotidiana delle persone. L’aumento delle diagnosi nelle fasce di età più giovani impone un cambio di paradigma. Non è più sufficiente concentrarsi esclusivamente sulla terapia farmacologica: è necessario costruire un modello di cura più ampio, capace di offrire un sostegno concreto ai pazienti e alle loro famiglie. In quest’ottica, diventa prioritario rafforzare i percorsi assistenziali multidisciplinari, coinvolgendo non solo il neurologo, ma anche figure fondamentali come fisioterapisti, psicologi e assistenti sociali.

La malattia di Parkinson non si ferma alla terapia. Significa dover affrontare difficoltà nel movimento, impatti sulla sfera emotiva e lavorativa, e la necessità di adattare la propria vita a una realtà in costante cambiamento. Pertanto, la sfida più grande non è solo trovare il farmaco giusto, ma costruire un sistema che accompagni il paziente lungo tutto il percorso della malattia.

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