Si riuscirebbe addirittura ad avere tre anni di vantaggio sulla malattia. A parlarne è un nuovo studio pubblicato su Nature Medicine
Tre anni di vantaggio sul tumore del pancreas, un traguardo cui ambirebbero tanti medici e pazienti. Il tutto potrebbe essere garantito al più presto dall’Intelligenza Artificiale. È quanto emerge da un nuovo studio pubblicato sulla prestigiosa rivista ‘Nature Medicine’.
Secondo i dati più recenti, nel 2022 sono stati stimati 14.500 nuovi casi in Italia.
Il tasso di mortalità non si è modificato in modo significativo negli ultimi anni e quello del pancreas si attesta come il tumore con la minor sopravvivenza sia a un anno dalla diagnosi (34 per cento nell’uomo e 37,4 per cento nella donna) che a cinque anni (11 per cento nell’uomo e 12 per cento nella donna). Il tumore del pancreas viene diagnosticato precocemente soltanto nel 12% dei casi. In questa fascia fortunata di pazienti si registra un’aspettativa di vita a 5 anni del 44%. Al contrario, quando la diagnosi arriva tardi, cioè quando il tumore è già in fase di metastatizzazione, la percentuale di sopravvivenza a 5 anni cala drasticamente al 10%. È insomma facile rendersi conto quanto sia importante una diagnosi precoce.
Nello studio pubblicato su Nature Medicine i ricercatori sottolineano che in assenza di un segnale chiaro che indichi un rischio elevato nessun medico può prescrivere esami approfonditi come la tomografia computerizzata o la risonanza magnetica. Per questo, gli scienziati hanno tentato di utilizzare l’Intelligenza Artificiale servendosi di 9 milioni di cartelle cliniche provenienti da Danimarca e Stati uniti. I ricercatori hanno individuato così alcuni modelli che hanno suggerito un aumento del rischio di cancro al pancreas nei 3 anni successivi.
Fra i parametri considerati ci sono diabete, ittero, calcolosi biliare, anemia, alti livelli di colesterolo, altre malattie del pancreas, obesità, perdita di peso, malattia infiammatoria intestinale e cancro del colon. “Con un metodo accurato di previsione è possibile indirizzare i pazienti ad alto rischio verso appropriati programmi di sorveglianza” – affermano i ricercatori.
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