Nuova puntata di ‘Conoscere l’Oncologia’, la rubrica dedicata agli approfondimenti oncologici. Questa volta, insieme al Dott. Domenico Germano, esaminiamo le ultime innovazioni nel trattamento del tumore della vescica metastatico e le prospettive future
Nuovo appuntamento di ‘Conoscere l’Oncologia’, il format di Italian Medical News dedicato agli approfondimenti e alle novità in oncologia. Oggi abbiamo il piacere di ascoltare nuovamente il Dott. Domenico Germano, Oncologo Medico presso l’Azienda Ospedaliera ‘San Pio’ di Benevento. Dopo aver discusso in dettaglio il tumore della prostata in due precedenti interviste, il Dott. Germano ci guiderà attraverso le recenti innovazioni nel trattamento del tumore della vescica metastatico. Con un focus particolare sui progressi terapeutici, dalle nuove combinazioni di farmaci alle terapie emergenti, esploreremo come questi sviluppi stanno cambiando il panorama della cura e migliorando le prospettive di vita dei pazienti.
Dallo schema M-VAC ad una nuova combinazione
Dottore quali sono le novità più rilevanti nel trattamento di questa neoplasia nella fase metastatica?
“È necessario fare un piccolo excursus. Nel carcinoma uroteliale metastatico della vescica, la chemioterapia a base di sali di platino, in particolare il cisplatino, è stata lo standard di cura per oltre tre decenni. Lo schema terapeutico standard, noto come M-VAC (una combinazione chemioterapica a base di platino con Metotrexate, Vinblastina e Doxorubicina), ha dimostrato un vantaggio rispetto alla monochemioterapia con cisplatino, raggiungendo una sopravvivenza mediana di circa 13 mesi.“
“Successivamente, lo schema M-VAC è stato sviluppato in una versione a intervallo più breve (così detto Dose Dense), risultando meglio tollerato dai pazienti. Negli anni successivi, tuttavia, la combinazione di cisplatino e gemcitabina ha sostituito l’M-VAC nella pratica clinica, diventando il nuovo standard terapeutico per il cancro uroteliale vescicale metastatico o localmente avanzato. Questa doppietta ha dimostrato la stessa efficacia in termini di sopravvivenza e risposte, ma con un significativo miglioramento della tollerabilità e una minore tossicità per i pazienti.”
“In seguito, nella pratica clinica è stata introdotta l’immunoterapia, prima in seconda linea con il Pembrolizumab e poi in particolare con l’Avelumab nel mantenimento dopo la prima linea terapeutica. Infatti l’Avelumab è diventato lo standard di cura nella fase di mantenimento per i pazienti che avevano ottenuto una risposta completa o parziale o una stabilità di malattia dopo la chemioterapia a base di platino. L’introduzione dell’avelumab ha mostrato vantaggi significativi in termini di sopravvivenza.”
“La più grande novità nel trattamento dell’uroteliale metastatico è stata presentata all’ASCO 2023: una combinazione del farmaco coniugato Enfortumab Vedotin con l’immunoterapico Pembrolizumab. Questa associazione ha rivoluzionato lo standard di trattamento. In particolare, la combinazione è stata inizialmente testata nello studio EV-103 su pazienti non idonei al trattamento con platino, che rappresentano una fetta significativa dei pazienti con carcinoma vescicale metastatico (tra il 30% e il 50%). Successivamente, la stessa combinazione è stata valutata nello studio di fase III (EV-302) su pazienti sia sensibili che non sensibili al platino, con esiti positivi. Questa rappresenta la più grande innovazione nel trattamento del tumore della vescica metastatico.”
Altre importanti novità
Ci sono altre terapie innovative in cantiere?
“Come accennavo prima, l’introduzione della combinazione Enfortumab Vedotin e Pembrolizumab ha rivoluzionato lo standard terapeutico tradizionale. Questa terapia ha raddoppiato la sopravvivenza mediana dei pazienti, portandola da 16 mesi (con la combinazione cisplatino-gemcitabina) a quasi 32 mesi. Il raddoppio si è verificato anche nei tempi di progressione della malattia. Oltre a questi miglioramenti, è stato un passo significativo perché ha permesso il trattamento di pazienti precedentemente esclusi per non idoneità. Purtroppo, questa nuova combinazione non è ancora disponibile nella pratica clinica italiana, mentre lo è negli Stati Uniti.”
“Rispondendo alla domanda, sì, ci sono altre novità significative rappresentate da nuovi farmaci che stanno cambiando il panorama terapeutico del tumore della vescica metastatico. Due farmaci in particolare meritano di essere menzionati per le linee di trattamento più avanzate: il sacituzumab govitecan, un anticorpo farmaco-coniugato diretto contro l’antigene Trop-2, e l’erdafitinib, che fa parte delle cosiddette terapie mirate (target therapy), progettate per colpire bersagli molecolari specifici, in questo caso l’FGFR.”
“Oltre al sacituzumab govitecan e all’erdafitinib, possiamo menzionare altri farmaci ancora in fase di sviluppo precoce, come i cosiddetti anticorpi bispecifici. Questi farmaci stanno trovando il loro spazio in vari contesti di trattamento del cancro uroteliale metastatico. Questo progresso segna l’ingresso nella medicina di precisione anche per questa patologia, un’era sempre più rilevante. In questo contesto, la comprensione dei biomarcatori diventa cruciale, non solo per predire la risposta al trattamento ma anche per valutarne la tossicità e, più in generale, offrire ai nostri pazienti le cure più efficaci.”
Un nuovo approccio
Alla luce di quanto ci ha indicato possiamo affermare come oltre al panorama terapeutico stia cambiando anche la vita di questi pazienti?
“Assolutamente sì. Stiamo avanzando verso un approccio che prima non esisteva per questa patologia. In passato avevamo poche armi terapeutiche, ma ora le cose stanno cambiando. Quello che stiamo osservando anche in altri tumori solidi, come il tumore del polmone o della prostata, è uno sviluppo significativo grazie alle conoscenze di biologia molecolare e al profilo genomico di questi tumori. Questo progresso ci permette di avere farmaci con bersagli specifici, seguendo il cosiddetto meccanismo chiave-serratura. In questo modo, possiamo colpire le alterazioni molecolari specifiche di una determinata patologia con l’obiettivo di ottenere una risposta significativa sul tumore, limitando al contempo gli effetti tossici e collaterali sul resto dell’organismo.”
In attesa dell’arrivo in Italia della nuova “doppietta”
Sulla base di quanto ci ha detto, quali sono le prospettive future per questa neoplasia?
“Abbiamo una prospettiva a medio-breve termine in Italia per l’introduzione nella pratica clinica della combinazione di Enfortumab Vedotin e Pembrolizumab. Questo cambierà significativamente il nostro approccio al trattamento del tumore della vescica metastatico. Attualmente, l’idoneità del paziente al trattamento con i sali di platino è un criterio decisionale cruciale. Con l’introduzione di questa nuova combinazione, questo filtro verrà superato, e l’attenzione si sposterà sull’idoneità del paziente a ricevere un immunoterapico o l’anticorpo coniugato Enfortumab Vedotin”.
“Nell’era della ricerca ‘post-doppietta’, il nostro obiettivo sarà ottimizzare il trattamento, cercando di trattare i pazienti il più a lungo possibile e gestendo efficacemente le tossicità delle terapie. Una migliore gestione degli effetti collaterali ci permetterà di offrire il miglior trattamento possibile. Parallelamente, l’identificazione dei bersagli molecolari e delle alterazioni specifiche consentirà di disegnare sequenze terapeutiche personalizzate per ogni paziente. Per questo motivo, sarà sempre più importante la collaborazione con diverse figure professionali, come i biologi molecolari e gli anatomopatologi, per determinare il profilo specifico dei pazienti e utilizzare farmaci con meccanismi d’azione sempre più mirati.”
L’importanza della multidisciplinarietà
Vuole aggiungere un commento finale?
“Come coordinatore del GOM aziendale per la patologia uroncologica, il messaggio che desidero trasmettere è che la collaborazione stretta tra diversi specialisti (urologo, anatomopatologo, oncologo e radioterapista) è diventata essenziale. Con l’aumento delle opzioni terapeutiche a disposizione, è fondamentale definire il percorso terapeutico migliore e adattare il trattamento alle specifiche esigenze del paziente. Non possiamo più lavorare in compartimenti separati; è necessario essere fluidi e collaborativi nella nostra azione terapeutica per garantire il miglior risultato possibile”
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