In particolare, l’esposizione al fumo passivo aumenta di circa il 50% il rischio di sviluppare il tumore del collo dell’utero
Che il fumo passivo sia dannoso è chiaro a chiunque. Arrivano conferme però di come questo fenomeno influisca anche su patologie pericolose come i tumori. In particolare, un nuovo studio ha dimostrato che l’esposizione al fumo passivo aumenta di circa il 50% il rischio, per le donne, di sviluppare il tumore del collo dell’utero. La ricerca in questione è opera dei ricercatori dell’Istituto per lo Studio, la Prevenzione e la Rete Oncologica di Firenze e dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS di Milano. I risultati sono stati pubblicati sul ‘Journal of Cancer Research and Clinical Oncology’.
“Il tumore della cervice uterina è tra i più comuni al mondo – scrivono gli autori dello studio. Si pensi che solo nel 2020 si sono verificati 604.000 nuovi casi e 342.000 decessi. Sebbene il ruolo cancerogeno del fumo sul tumore della cervice sia ben noto, gli studi sui suoi effetti indiretti, vale a dire i danni causati dall’esposizione al fumo passivo, sono scarsi”.
Il gruppo ha analizzato congiuntamente 21 ricerche condotte in precedenza sul tema. Ha quindi rilevato che il rischio di lesioni pretumorali (definite Cin o neoplasia intraepiteliale cervicale) di grado moderato o severo è del 52% più alta in chi è esposto al fumo passivo. Il rischio di forme di tumore invasive è invece del 42% più elevato. Lo studio, inoltre, suggerisce che “l’esposizione domestica (compresa quella legata al partner) può svolgere un ruolo importante nello sviluppo di tumore della cervice correlato al fumo passivo. Mentre – scrivono ancora gli esperti – l’esposizione passata (cioè da parte dei genitori o durante l’infanzia) ha un basso impatto nello sviluppo del tumore”.
Di seguito il commento finale dei ricercatori. “Questi risultati dovrebbero sensibilizzare le donne e la popolazione sul rischio associato all’esposizione al fumo passivo. Un fenomeno ancora troppo presente, soprattutto in contesti privati”. Lo studio è stato sostenuto da Fondazione AIRC per la ricerca sul Cancro, Lilt e Regione Toscana.
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