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Alzheimer: alcuni soggetti ne sono affetti ma senza sintomi

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C’è una piccola percentuale di malati di Alzheimer che mostra i segni neuropatologici della malattia di Alzheimer ma senza manifestarne i sintomi di demenza o declino cognitivo

Esista una percentuale di persone affette da Alzheimer che presenta segni neuropatologici della malattia, ma senza manifestare i sintomi di demenza o declino cognitivo. Un gruppo di ricercatori dell’Istituto di Neuroscienze di Amsterdam ha cercato di approfondire le cause di questo fenomeno, pubblicando uno studio su Acta Neuropathologica Communications.

Sono stati analizzati campioni di tessuto cerebrale conservati presso la Banca olandese del cervello. Ogni paziente era associato a una cartella clinica dettagliata dei sintomi. Incrociando i dati delle analisi del tessuto cerebrale di migliaia di campioni, i ricercatori hanno scoperto che solo 12 persone, pur mostrando i segni caratteristici dell’Alzheimer (ovvero l’accumulo delle proteine beta amiloide e tau) non soffrivano di perdita di memoria, difficoltà nel linguaggio e problemi di orientamento tipici della malattia. Avevano una demenza, ma in forma asintomatica. Analizzando i 12 casi, i ricercatori sperano di riuscire a capire i meccanismi alla base di questa straordinaria resilienza. L’obiettivo è ovviamente quello di mettere a punto nuovi trattamenti contro la malattia.

Una serie di meccanismi alterati

Il team olandese, guidato dal Dott. Luuk de Vries, ha messo a confronto l’espressione genetica di alcune persone con Alzheimer sintomatico, persone sane e i 12 casi di demenza asintomatica. “Quando abbiamo analizzato l’espressione genetica abbiamo scoperto che nel gruppo resiliente una serie di meccanismi risultavano alterati – ha spiegato il Dott. Vries. In particolare gli astrociti sembravano produrre una maggiore quantità di metallotioneina antiossidante”.

Gli astrociti lavorano in collaborazione con le cellule microgliali, che si occupano della difesa immunitaria del sistema nervoso centrale eliminando i radicali liberi, i neuroni malfunzionanti e le proteine anomale. In caso di minaccia, le cellule microgliali si attivano innescando un processo di infiammazione che si conclude quando l’allarme cessa. Ma in caso di malfunzionamento, la microglia non riesce a comunicare la risoluzione del problema e finisce per causare danni, uccidendo anche le cellule sane. Il processo neuroinfiammatorio che gioca un ruolo centrale nell’Alzheimer e nel Parkinson. Nei soggetti resilienti il percorso della microglia risultava meno attivo. Il cervello di queste persone sembra più efficace nell’impedire l’accumulo dei rifiuti neurologici.

“Abbiamo anche trovato indicatori che potrebbero esserci più mitocondri nelle cellule cerebrali degli individui resilienti, il che garantisce una migliore produzione di energiahanno dichiarato gli autori dello studio. Non è chiaro che cosa ci sia dietro a queste differenze e come si colleghino con la malattia di Alzheimer, ma se riusciremo a trovare le basi molecolari della resilienza potremmo avere un punto di partenza per creare nuovi farmaci per combattere la patologia neurologica”.

Fonte.

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