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I bambini italiani e la guerra in Ucraina, l’analisi del Dott. Arigliani

Tempo di lettura: 4 minuti

Il Dott. Raffaele Arigliani, Pediatra, tra i maggiori esperti italiani del counselling sanitario, ci pone in guardia sui rischi che corrono i bambini esposti a notizie sulla guerra e le violenze in Ucraina 

Trattare il problema della guerra non è opera semplice. Ciò diventa ancora più complicato quando i destinatari del discorso sono i bambini. Lei cosa pensa? 

Le immagini della guerra in Ucraina vanno mostrate ai bambini e ai ragazziO meglio, come preservarli agli orrori della guerra?

“Penso che il discorso sia da fare articolandolo. Rispetto alla guerra in corso si tratta di ridare ai bambini e ai ragazzi “potere”, accrescere empowerment. L’empowerment  è trovare la forza in se stessi, riuscire a farlo è una grande conquista. Ciò che rende sconfitti e crea fratture interiori è il sentirsi impotenti, esatto opposto di empowerment. Victor Frankl nel suo libro ‘uno psicologo nel lager’ ci racconta questo molto bene: quando i nazisti nel lager toglievano tutto, pure nessuno poteva privarlo della sua dignità e della consapevolezza di essere persona unica ed insostituibile. Ai bambini e ai ragazzi bisognerebbe dare la possibilità di ricevere informazioni sulla guerra senza rimanerne schiacciati, che diventino occasione di crescita della sensibilità personale e sociale”.

L’informazione andrebbe posta in maniera diversa nelle varie fasce d’età? 

“Ai più grandicelli, bisognerebbe parlare spiegando concretamente come la guerra nasce dalla mancanza di dialogo, mostrando che ciascuno può divenire costruttore di pace a partire dal proprio mondo. Ai ragazzi possiamo insegnare a vivere gli antidoti alla guerra: la solidarietà da subito e concreta verso chi ha bisogno. L’ allenamento ad ascoltare ciascuno che parla senza interrompere, con lo sforzo di capire le sue ragioni. Il cercare, quando si è in disaccordo di vedere prima ciò su cui siamo in intesa e di li partire, ecc.. Questi sono alcuni modi di affrontare la diversità di opinioni o interessi, facendo toccare con mano come il confine tra pace e litigio-guerra sia il più delle volte nelle nostre mani”.

“Nel trasferire informazioni ai ragazzi dovremmo puntare a sviluppare una coscienza critica”

Cosa pensa delle modalità con le quali riceviamo informazioni su questa e sulle altre guerre o problemi del mondo? 

“Uno dei grandi problemi di oggi è che, pur se le azioni dei singoli stati sono sempre più interconnesse e reciprocamente condizionantesi, le notizie con le quali ci costruiamo un’opinione sono invece  frammentarie e distorte. Nel trasferire informazioni ai ragazzi dovremmo puntare a sviluppare una ‘coscienza critica’ non solo sulle singole problematiche ma anche sulla capacità di raccogliere informazioni. 

Ad esempio oggi, al tg2, è stato evidenziato che i media cinesi non parlavano della guerra in Ucraina ma delle paraolimpiadi, sottolineando che da ciò deriva una ridotta capacità dell’opinione pubblica cinese nel reagire alla guerra. Sembra assurdo vi sia una tale disinformazione. Ma è la stessa cosa che abbiamo fatto noi per anni con Sira e Sudan, ad esempio! L’ attuale dramma ci offre la possibilità di guardare anche questi aspetti e di aprire gli occhi ai ragazzi. Però vi è un problema a monte: noi stessi siamo consapevoli di tutto ciò? Ho seri dubbi”.

 Il Dottore Arigliani continua  sottolineando un’importante duplice distinzione: quella tra ‘il linguaggio dei ragazzi’ ed il ‘linguaggio degli adulti’ e la conseguente distinzione tra educazione ed informazione. “Se come genitore o docente non parlo il linguaggio dei ragazzi che ho di fronte, variabile per età e sensibilità, ma il mio linguaggio di adulto, allora non avrò fatto veramente opera di educazione (che potremo tradurre come un insieme di azioni che aiutano ad accrescere le potenzialità personali e sociali del nostro discente), ma di informazione, talora non scevra di potenziali danni e traumi”.

“Nel parlare ad un bambino dobbiamo trasmettere la certezza che il bene vincerà sempre”

Avviandoci alla conclusione, potrebbe sintetizzare in maniera semplice come parlare ai bambini sotto i 6 anni di ciò che sta accadendo in Ucraina?

“Parlare a più piccoli – prosegue il Dott. Arigliani – richiede di utilizzare metafore, favole, storie, attraverso le quali possano incontrare la realtà ma anche elaborarla secondo la propria dimensione. Certamente bisogna non esporli a immagini di violenza, morte, distruzione. La TV, soprattutto con i TG, dovrebbe essere sempre spenta in una casa dove  vi sono i bambini! Non ha alcun senso esporli alla guerra dei tg e alle angosce e al terrore che ne deriva. Gli echi della guerra certamente arriveranno ugualmente loro, però non saranno così dirompenti e dovrebbero potere sempre essere accompagnati dalla presenza di un adulto che sia in grado di “accompagnare” e aiutare ad elaborare. Si può parlare della guerra ma senza esagerare, soprattutto per chiedere loro ‘di raccontarcela’, perché ogni paura abbia la possibilità di essere espressa e non rimanga un fantasma nascosto che abita ‘il buio’ del non detto.

Bisogna avere chiaro che il bambino, almeno fino ai 6 anni, guarda la realtà in cui lui è il centro di tutto. Ad esempio per un bimbo non vi sono dubbi che il sole sorga per un solo motivo, per causa sua. Il bimbo non ha dentro di sé i codici per leggere la violenza e il dolore di altri bimbi  come qualcosa di esterno, di cui non ha colpa. ‘Last but not least’, nel parlare ad un bambino dobbiamo trasmettere la certezza che il bene vincerà sempre, o che comunque potremmo sempre lottare perché ciò avvenga“.

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