L’esplosione della pandemia ha portato a screening e presa in carico tardivi per i malati cronici
Una delle problematiche emerse nel corso della pandemia è la distinzione emersa in maniera sensibile tra il trattamento dei malati cronici e quelli affetti da covid. Una situazione che ha portato a rallentare i processi legati a un aspetto in favore dell’altro.
“È da anni – inizia la d.ssa Montella, direttore sanitario del Irst Istituto di ricerca ricovero e cura a carattere scientifico di Meldola – che si discute della necessità di cambiare il modello organizzativo. Trovare i sistemi di misura della qualità che, ad oggi, è strettamente amministrativa. Nessuno sa i passaggi del malati e questo non ci consente di misurare la qualità delle cure. E credo che sanità territoriale e quella ospedaliera sono due facce della stessa medaglia. L’ospedale deve servire per l’acuto, il territoriale per il post acuto. La differenza che si è generata è anche di natura culturale ed è diventata ancora più marcata da quando c’è il covid. I malati cronici non trovavano risposte nel territorio e gli ospedali erano pieni di pazienti covid e quindi i primi sono rimasti in una sorta di limbo con una mortalità che ha raggiunto il 33%, una presa in carica e screening tardivi”.
E allora la soluzione diventa la riprogettazione dei percorsi.
“Serve la disponibilità delle cartelle condivise per avere tutte le informazioni necessarie sui pazienti. In Italia non tutti possono averle. Ma, cosa più importante, bisogna pensare che il centro deve rimanere sempre il paziente e mantenere la continuità assistenziale”.
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