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Diabete, passi avanti verso la pillola che sostituisce l’insulina

Tempo di lettura: 2 minuti

Arrivano grandi notizie da un gruppo di ricercatori del ‘Walter and Eliza Hall Institute’ (WEHI) di Melbourne, in Australia

In un futuro non troppo lontano potrebbe essere possibile sostituire le iniezioni giornaliere di insulina con una pillola. I ricercatori del ‘Walter and Eliza Hall Institute’ (WEHI) di Melbourne, Australia, hanno infatti individuato una molecola che imita l’insulina e che può essere assunta oralmente. I risultati della ricerca, aprono dunque nuove promettenti strade per lo sviluppo di farmaci orali per i pazienti con diabete.

Le persone con diabete di tipo 1 non possono produrre insulina, ormone necessario per controllare i livelli di zucchero nel sangue. Questi pazienti necessitano dunque più iniezioni giornaliere di insulina per tenere sotto controllo i livelli di glucosio. “Da 100 anni a questa parte lo sviluppo di una pillola di insulina è stato un sogno per i ricercatori – spiegano Nicholas Kirk e Mike Lawrence, principali ricercatori dello studio. Purtroppo però fino ad oggi c’è stato poco successo”. L’insulina, infatti, è difficile da produrre in pillole poiché particolarmente instabile e immediatamente degradata dal corpo durante la gestione.

La ricerca ha però ora subito una promettente accelerazione con lo sviluppo della microscopia crioelettronica (cryo-EM), una nuova tecnologia in grado di visualizzare molecole complicate in dettaglio atomico, consentendo così di generare rapidamente immagini 3D del recettore dell’insulina. Gli esperimenti cryo-EM hanno identificato una molecola peptide che imita l’insulina, legandosi e attivando il recettore dell’ormone. Si tratta di un primo importante passo in un percorso che indirizza le cellule ad assorbire il glucosio quando i livelli di zucchero nel corpo sono troppo alti. “È ancora una lunga strada che richiederà ulteriori ricerche – affermano gli autori. Ma è entusiasmante sapere che la nostra scoperta apre le porte ai trattamenti orali per il diabete di tipo 1”. 

Clicca qui per leggere il comunicato dei ricercatori. 

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