Svelato il profondo cambiamento del metabolismo cellulare che spiega perché le cellule tumorali del fegato diventano resistenti ai farmaci
Uno studio condotto dall’Università Statale di Milano e dall’Istituto Europeo di Oncologia, con il supporto della Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro, ha messo in luce un cambiamento profondo nel metabolismo cellulare che consente alle cellule tumorali del fegato di diventare resistenti ai farmaci. I risultati della ricerca sono stati pubblicati sulla rivista Signal Transduction and Targeted Therapy, del gruppo Nature.
I ricercatori hanno analizzato il comportamento delle cellule tumorali in coltura, esposte al sorafenib, un farmaco comunemente impiegato nel trattamento delle forme avanzate di carcinoma epatocellulare, il tipo più frequente di tumore al fegato. Sebbene inizialmente efficace, il sorafenib perde la sua efficacia in circa il 50% dei pazienti dopo alcuni mesi, a causa dello sviluppo di meccanismi di resistenza da parte del tumore.
Gli esperti hanno scoperto che le cellule tumorali riescono a modificare il proprio metabolismo, deviando l’uso degli zuccheri per produrre glicerolo, una molecola che serve da base per costruire nuove membrane cellulari. Allo stesso tempo, assorbono acidi grassi dall’ambiente circostante, che si legano al glicerolo e contribuiscono alla formazione di membrane rinnovate. Questo processo di rimodellamento rende le cellule tumorali più robuste e capaci di resistere meglio allo stress indotto dai trattamenti farmacologici.
Le parole del Prof. Nico Mitro
“Come alcuni animali cambiano pelle per adattarsi all’ambiente, anche le cellule tumorali si trasformano, modificando la propria struttura in modo da sfuggire all’effetto dei farmaci” – spiega il Prof. Nico Mitro, docente di biochimica dell’Università degli Studi di Milano. “Dopo una prima fase di trattamento farmacologico – prosegue l’esperto – le cellule cancerose sopravvissute sono in grado di riorganizzare i lipidi nella loro membrana esterna e diventare così resistenti ai trattamenti”.
Uno degli aspetti più promettenti dello studio è l’identificazione di due possibili biomarcatori nel sangue dei pazienti trattati con sorafenib. L’accumulo di D-lattato sembra indicare che il trattamento sta funzionando, mentre un aumento del glicerolo potrebbe segnalare l’inizio della resistenza del tumore. Questi indicatori potrebbero diventare strumenti utili per monitorare in modo più preciso l’efficacia delle terapie e intervenire tempestivamente con possibili strategie alternative.
“Queste scoperte – conclude Mitro – aprono nuove prospettive nella lotta contro il carcinoma epatocellulare e, più in generale, nella comprensione dei meccanismi con cui i tumori diventano resistenti ai farmaci. In futuro, una conoscenza più approfondita del metabolismo delle cellule tumorali potrà portare allo sviluppo di terapie sempre più mirate e precise, capaci di migliorare l’efficacia dei trattamenti e la qualità della vita dei pazienti”.
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