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Il test del DNA fetale per scoprire la presenza di cancro

Tempo di lettura: 4 minuti

A descrivere questa rivoluzionaria prospettiva sono le conclusioni di uno studio condotto da un gruppo di esperti del National Institute of Health (Nih) e pubblicato sul New England Journal of Medicine

A cura di Davide Pezza

Identificare un cancro a partire da un risultato anomalo di un test del DNA fetale, effettuato per individuare possibili disturbi cromosomici durante la gravidanza. Di questa clamorosa possibilità parla uno studio condotto da ricercatori del National Institute of Health (NIH) e pubblicato sul New England Journal of Medicine. I ricercatori, prendendo spunto da anomalie emerse nell’analisi genetica, hanno utilizzato la risonanza magnetica total body per effettuare uno screening volto a rilevare eventuali patologie oncologiche. Un risultato confermato quasi nella metà dei casi (48,6%) che, sebbene richieda “ulteriori studi per convalidare i modelli di sequenziamento del Dna fetale”, apre alla possibilità che “risultati anomali possano indicare una diagnosi di cancro in una popolazione di giovani adulti, in assenza di sintomi clinici”.

Il sequenziamento del DNA libero circolante nel plasma delle donne in gravidanza ha rivoluzionato lo screening prenatale per l’aneuploidia fetale. Grazie alla sua maggiore precisione rispetto allo screening sierico basato su ormoni (free beta-hCG e PAPP-A) e alla misurazione della translucenza nucale, negli USA è ormai un’opzione standard offerta a tutte le gestanti. In Italia, invece, l’adozione di questa tecnologia è avvenuta in modo graduale e a pagamento. Lo screening non invasivo non è ancora incluso nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), sebbene alcune Regioni abbiano iniziato a proporlo alle proprie gestanti. Attualmente, solo Emilia-Romagna e Valle d’Aosta lo offrono universalmente, senza la necessità di un bi-test preliminare. A livello globale, l’introduzione di questi test ha determinato una riduzione del 50-70% delle procedure diagnostiche invasive, come l’amniocentesi

Non si tratta, però, solo di screening prenatale. Da anni, vari studi (dai primi pubblicati nel 2015 sul Journal of the American Medical Association (JAMA) fino a uno più recente su Obstetrics & Gynecology) hanno evidenziato il potenziale di questi test nel rilevare in modo incidentale diagnosi di cancro nelle donne in gravidanza. Come punto di partenza, la consapevolezza che, nel corso di una gravidanza, appena il 10% del Dna circolante proviene dalla placenta. La restante quota deriva invece dal sistema ematopoietico della gestante e, in caso di presenza di una neoplasia, è possibile rilevare anche tracce del Dna tumorale che può alterare l’equilibrio tra il corretto numero di cromosomi e un’eventuale aneuploidia.

Quello che c’è da definire, in questo caso, è se l’aneuploidia sia da ascrivere al feto o se possa risultare come conseguenza di un tumore non ancora scoperto. Oltre all’eventuale iter da seguire, in seguito alla rilevazione di anomalie nell’esame del Dna non ascrivibili a una malformazione fetale. Da qui la decisione del Nih di rivalutare le potenzialità di questo esame nelle gestanti anche come potenziale strumento di screening oncologico.

Come si è svolto il nuovo studio

I ricercatori hanno coinvolto 107 donne, in gravidanza o che avevano concluso una gestazione negli ultimi due anni, senza alcuna diagnosi oncologica pregressa. Tutte si erano sottoposte al test del DNA circolante nel primo trimestre presso 12 laboratori situati in Nord America.  Nel caso di risultati non negativi, non supportati dalle indagini ecografiche e discordanti rispetto al cariotipo fetale, le partecipanti sono state incluse in un programma di screening strutturato. Questo prevedeva una risonanza magnetica total body, analisi di laboratorio e sequenziamento standardizzato del DNA fetale tramite una piattaforma genomica avanzata. Lo screening ha portato all’identificazione di cancro in ben 52 casi, con la risonanza magnetica che ha dimostrato una sensibilità del 98% e una specificità dell’88,5%.

Tra i 52 partecipanti a cui è stata diagnosticata una malattia oncologica, 31 presentavano un linfoma, di cui 20 erano casi di linfoma di Hodgkin. Altri tumori identificati includevano 9 casi di carcinoma del colon-retto, 4 di carcinoma mammario, oltre a singoli casi di colangiocarcinoma, carcinoma adrenocorticale, carcinoma polmonare non a piccole cellule, adenocarcinoma pancreatico, sarcoma di Ewing e carcinoma renale

Tra le donne con diagnosi di tumore durante la gravidanza o nei mesi successivi, 29 (55,8%) erano asintomatiche, mentre 13 (25%) presentavano sintomi inizialmente attribuiti alla gravidanza o ad altre condizioni, come il dolore epigastrico diagnosticato come reflusso gastrico in una paziente poi risultata affetta da carcinoma pancreatico. In altri 10 casi, i sintomi non sono stati riconosciuti, oppure le valutazioni effettuate avevano fornito esiti rassicuranti.

Le parole degli autori

“I nostri risultati supportano l’uso della risonanza magnetica total body nella valutazione delle donne incinte che ricevono risultati del sequenziamento del Dna circolante prenatale suscettibili di una diagnosi oncologica” – spiegano gli ricercatori. Secondo gli autori, coordinati dall’esperta Diana Bianchi “l’anamnesi medica, i sintomi riferiti dai partecipanti, l’esame fisico e i test di laboratorio sono di utilità limitata nell’identificare quali partecipanti abbiano o meno un tumore e in quale sede. La gravidanza o l’assenza di sintomi evidenti non sono ragioni per ritardare l’imaging”.

Un editoriale di spicco

Lo studio è stato accompagnato anche da un editoriale sul New england journal of medicine a firma della ginecologa Neeta Vora (direttrice del centro di genetica riproduttiva dell’Università della North Carolina). Vora nel 2013 descrisse uno dei primi casi di diagnosi incidentale di cancro in una donna che si era sottoposta all’analisi del Dna circolante nel corso della gravidanza.

“È necessaria si legge nell’editoriale un’istruzione diffusa sia per gli operatori ostetrici sia per gli oncologi sulla possibilità che dallo screening del Dna circolante fetale possa emergere una diagnosi oncologica in una donna incinta. Serve un impegno in tal senso da parte delle società scientifiche e dei laboratori che eseguono lo screening, chiamati a stabilire quali possano essere le aberrazioni più suggestive di una diagnosi oncologica”.

Ma come comportarsi a fronte di un esame sospetto? Secondo l’esperta difficilmente una donna in seguito a uno screening anomalo effettuerà l’esame a proprie spese. Inoltre, in attesa di ulteriori risposte dalla ricerca in questione, Vora precisa che “i ginecologi dovrebbero lavorare in un contesto multidisciplinare con specialisti in oncologia, radiologia, medicina materno-fetale e genetica riproduttiva per percorsi assistenziali ad hoc rivolti alle gestanti che ricevono un esito dell’esame del Dna circolante che potrebbe celare una diagnosi oncologica”.

Clicca qui per leggere l’estratto originale dello studio in questione.

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