Prepensionamenti, perdite, dimissioni e burnout: le cause della diminuzione di operatori nelle corsie
Prepensionamenti, perdite umane, dimissioni volontarie, burnout e disturbo da stress post traumatiche. Le cause che hanno condotto allo svuotamento delle corsie degli ospedali in termini di professionisti e operatori sanitari. Un risultato triste dopo circa due anni di pandemia.
Uno studio de Lavoce.info ha fatto un quadro desolante della situazione. Nel secondo trimestre del 2021 si è verificato un fenomeno crescente del 44% di dimissioni volontarie nei comparti sanitari e sociali. Un dato che ha una spiegazione nella paura di contagiare cari, di contrarre il virus. Cause che hanno condotto molti a dire addio volontariamente alla professione, provati fisicamente e psicologicamente.
E la situazione rischia di peggiorare ancora di più, visto che nei prossimi mesi potrebbe esserci un incremento di prepensionamenti che, non sempre, vengono colmati con nuovi ingressi. Un turn over poco equilibrato che manda in difficoltà il sistema sanitario e la medicina del territorio. Fa spavento il fatto che circa 300 borse di studio di Medicina d’urgenza siano andate vacanti e non sono state assegnate. L’idea potrebbe essere quella di guardare fuori dai propri confini se in Italia si fa difficoltà a trovare la nuova forza lavoro che possa garantire la continuità assistenziale. “La carenza medici è un disastro annunciato da più di 10 anni ma nessuno ci ha ascoltato. È mancata la programmazione di soluzioni politiche: adesso tutti pagano un prezzo alto, sia i medici che i pazienti”, ha commentato Foad Aodi, fondatore dell’Associazione Medici di Origine Straniera in Italia (Amsi).
Il mancato turn over non riguarda solo gli ospedali ma anche la medicina di base
Ma il problema non è legato alle sole corsie di ospedale, la pressione è stata tanta anche sui medici di base che si trovano ad affrontare lo stesso problema. Medici che vanno in pensione e difficoltà di trovare nuove leve che siano adeguatamente preparate per prendersi carico dei pazienti. Medici che decidono di anticipare il pensionamento perché troppo provati dalle attività ordinare e straordinarie. E questo abbassa l’età, tanto da arrivare a dire stop ai 63-64 anni invece che ai canonici 68-69. Ben cinque anni prima. Il tutto a discapito della salute del cittadino.
Ciò che ha fatto il Covid è intaccare un sistema che è ben abituato a traumi, stress e morti. Stavolta, però, il carico è stato ben superiore. Un carico specie di natura psicologica. Tra immagini che hanno sconvolto, aggressioni, panico e ritmi che hanno messo a dura prova mente e corpo di chi ha combattuto in prima linea. Numeri spaventosi. Da uno studio del febbraio del 2021, l’Associazione EMDR Italia ha scoperto che in 17 ospedali ed RSA, il 71,2% degli operatori sanitari ha accusato un livello di ansia elevato, il 60% un livello moderato. Il 74.4% ha riportato livelli da moderati a elevati di ridotta realizzazione professionale. Livelli di depressione nel 26.8%, di ansia nel 31.3% e di stress nel 34.3%. Infine il 36.7% ha riportato sintomi di stress post traumatico.
Numeri che non hanno bisogno di interpretazioni. Forse è il momento di dare il giusto merito a persone che, per due anni, si sono messi a disposizione con le loro competenze e rischiato la vita in ogni singolo istante. Persone che hanno bisogno di una terapia sistemica e di avere un clima attorno maggiormente vivibile. Ma soprattutto persone che hanno bisogno di lavorare in condizioni e strutture che siano all’altezza.
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