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Pronto Soccorso Psicotraumatologico

Tempo di lettura: 25 minuti

LA RUBRICA TRATTA LE DIVERSE DIMENSIONI E AREE DELLA PSICOLOGIA. È CURATA, PER ITALIAN MEDICAL NEWS, DALLE PSICOLOGHE E DAGLI PSICOLOGI DEL SINDACATO NAZIONALE PLP – PSICOLOGI LIBERI PROFESSIONISTI

Titolo elaborato: Pronto Soccorso Psicotraumatologico
Sottotitolo: La ricerca-intervento presso Ospedali riuniti villa Sofia-cervello di palermo: studio sull’applicazione dell’emdr nel contesto ospedaliero presso Ospedali Riuniti Villa Sofia-Cervello di Palermo
Autori: Gianluca Santoro, Tiziana Lo Nigro, Valentina Seghini, Manfredi Capasso, Elena Li Vecchi, Fannita Palazzolo, Adriano Schimmenti

Il progetto

Il Progetto del Pronto Soccorso Psicotraumatologico nasce nel 2018, grazie ad un protocollo d’intesa fra l’Associazione per l’EMDR in Italia e l’Azienda Ospedaliera “Ospedali Riuniti Villa Sofia-Cervello” di Palermo. L’obiettivo generale della ricerca-intervento è stato quello di valutare e regolamentare l’intervento clinico di prevenzione e trattamento delle reazioni psicologiche disadattive a fronte di eventi critici traumatici nei contesti ospedalieri di emergenza e urgenza.

L’intervento è stato indirizzato agli operatori sanitari e al comparto medico ospedaliero, ai pazienti e ai loro familiari, con lo scopo di:

– favorire l’elaborazione dell’esperienza traumatica;
– prevenire il consolidarsi di sintomi post-traumatici;
– curare la sintomatologia post-traumatica;
– prevenire l’insorgenza del disturbo da stress post-traumatico (Post-Traumatic Stress Disorder; PSTD);
– rafforzare le capacità di resilienza della persona;
– facilitare la comunicazione tra sanitari, utenza e loro familiari.

L’intervento psicologico tempestivo in ospedale, in occasione di eventi critici, risulta molto utile e con un ottimo rapporto costi-benefici. Comprendere la natura della complessità del fenomeno in esame significa comprendere le reazioni psicologiche di tutti i sistemi coinvolti. L’intervento ha una funzione contenitiva e preventiva, trasmette un messaggio di legittimazione del dolore e favorisce una crescita personale e professionale post evento critico (Solomon, Macy, 2003).

Spesso gli operatori di una struttura ospedaliera si trovano ad affrontare situazioni di grande complessità medica a cui si intrecciano fattori di fragilità psicologica. Nonostante la correttezza della dia- gnosi e l’appropriatezza della terapia impostata, l’impegno profuso talvolta non è sufficiente a salvare la vita del paziente. Per questo medici, infermieri, operatori e tutto il personale sanitario sono frequentemente esposti a rischio di burnout e di stress lavoro-correlato o traumatizzazione vicaria. In poche realtà italiane e in alcune strutture ospedaliere – come, ad esempio, l’Azienda Ospedaliera Santa Croce e Carle di Cuneo – già da qualche anno sono presenti interventi a tutela del benessere psicologico degli operatori nei reparti di Ostetricia, Ginecologia e in Pronto Soccorso. In coerenza con gli atti di indirizzo del Ministero della Salute è parso utile replicare e rendere innovativa sul territorio siciliano un’esperienza altamente specializzata per la gestione del trauma vicario e dello stress lavoro-correlato attraverso la realizzazione di un Pronto Soccorso Psicotraumatologico, seguendo modelli d’intervento sviluppati e collaudati anche in altre realtà e da tantissimi anni anche in America.

Gli eventi potenzialmente traumatici possono travolgere i comuni meccanismi di difesa e di coping, possono generare un senso di sconfitta relativo alla propria vulnerabilità e alla propria perdita di controllo, con conseguente incapacità di funzionare in modo ade- guato (Solomon, 1995). Importante, in queste situazioni, è riuscire, fin dai primi momenti che seguono l’evento critico, ad intervenire in maniera mirata allo scopo di gestire lo stress e ridurre l’impatto dell’evento, promuovendo il recupero funzionale e normalizzando le reazioni emotive.

In modo simile, alcuni eventi, per la loro imprevedibilità e delicatezza, come la morte improvvisa di un giovane paziente, vengono vissuti dagli operatori come eventi critici, con il rischio di traumatizzazione vicaria. Questi episodi generano inizialmente shock, reazioni di evitamento del luogo in cui sono accaduti, iperarousal, intrusività. Si tratta di reazioni di stress acuto che, se non trattate tempestivamente, potrebbero evolvere in PTSD (Van der Kolk et al., 2004). La protezione degli operatori e il benessere dei pazienti, attraverso l’applicazione di protocolli specifici, rappresentano quindi una priorità per l’azienda sanitaria in un’ottica di umanizzazione delle cure (L.R. 16 agosto 2002 n.229).

Campo di applicazione e destinatari dell’intervento

L’intervento di supporto del Pronto Soccorso Traumatologico è stato applicato nei seguenti casi:
– Vittime di I tipo – Pazienti in ingresso in Pronto Soccorso a seguito di evento critico;
– Vittime di II tipo – Familiari dei pazienti e vittime indirette di eventi critici;
– Vittime di III tipo – Personale ospedaliero, quali medici, infermieri, OSS.

L’intervento è stato effettuato quindi su tutti quei pazienti che, in ingresso in Pronto Soccorso, rientravano in una casistica di evento critico: incidenti stradali con vittime dirette ed indirette, incidenti sul lavoro, e così via. Si è lavorato anche con i familiari dei pazienti per gestire situazioni di forte stress, comunicazione difficoltosa con il personale medico, comunicazione di bad news e casi di morti improvvise e imprevedibili. Rispetto al personale ospedaliero, l’intervento è stato mirato al supporto psicologico ai sanitari per contenere e prevenire burnout o stress lavoro-correlato, reazioni da stress acuto o PTSD.

Il perimetro dell’intervento ha consentito di lavorare in acuzie su:
– Incidenti stradali
– Cure in emergenza;
– Aggressione
– Minaccia all’integrità fisica e alla sicurezza personale degli operatori sanitari;
– Decessi IPEV (Inattesi, Prematuri, Evitabili, Violenti);
– Trattamenti negativi – Trattamenti prolungati e impegnativi con esito negativo;
– Stress acuto a seguito di eventi imprevedibili nei confronti dei quali non si dispone di sufficienti strategie di coping;
– Senso di inefficacia ai quali si associano disregolazione emotiva, stati di iperattivazione e aggressività.

L’intervento del gruppo di lavoro in Pronto Soccorso ha pertanto avuto lo scopo di ridurre l’impatto dell’evento critico, prevenire l’insorgenza di PTSD e/o il consolidamento di sintomi post-traumatici, rafforzare le capacità di resilienza e le strategie di coping e facilitare la comunicazione tra sanitari, utenti e loro familiari, nonché di valutare l’efficacia degli interventi psicologici basati su protocolli EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing, ovvero “desensibilizzazione e rielaborazione attraverso i movimenti oculari”) dedicati al trattamento di sintomi presenti in acuzie e in fase peritraumatica. Inoltre, nel lavoro svolto, è stato possibile:
(a) sostenere gli operatori ospedalieri mediando il rapporto operatori/pazienti e operatori/familiari;
(b) individuare elementi che avrebbero potuto arrecare disagio e tensioni nei pazienti e nei loro familiari e di adottare strategie relazionali maggiormente idonee in occasione delle interazioni con quest’ultimi;
(c) assolvere una funzione di supporto nell’elaborazione della sofferenza emotiva di malati affetti da patologie gravi, croniche e/o con prognosi infausta.
Tutto ciò è stato possibile attraverso l’applicazione dei protocolli EMDR che vengono generalmente utilizzati per ridurre la sofferenza peritraumatica. L’utilizzo dei protocolli in emergenza ha contribuito a favorire la normalizzazione e la riduzione delle reazioni acute risolvendo il residuo traumatico e il livello di sofferenza individuale.

L’attività di pronto soccorso e la modalità di intervento

L’intervento psicologico in contesti di emergenza/urgenza è avvenuto ad opera di un team di terapeuti EMDR con specifica formazione, coordinati da uno psicologo psicoterapeuta esperto in EMDR. L’approccio psicoterapico utilizzato è stato l’EMDR, riconosciuto nell’Agosto del 2013 dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) come “trattamento efficace per la cura del trauma e dei disturbi ad esso associati a seguito di un evento critico per la rielaborazione dell’evento traumatico”.

Il setting dell’intervento è destrutturato. È cura dello psicologo scegliere il luogo, garantire la privacy, impostare la relazione e costruire l’alleanza. Grossa importanza viene data al linguaggio verbale e non verbale. L’incontro col paziente avviene in Pronto Soccorso, spesso in Area d’Emergenza o presso una stanza messa a disposizione dall’Azienda Ospedaliera per la somministrazione della batteria testologica o nei reparti di Area Critica a seguito di contatti con i Primari o con i Caposala.

In questi contesti, la raccolta anamnestica non può essere sempre fatta. Si indagano gli aspetti rilevanti in merito all’evento, o alla richiesta specifica fatta dai medici o a ciò che lo psicologo nota osservando il paziente. Il lavoro viene svolto in un contesto di attenzione, ascolto attivo, contenimento emotivo, supporto emotivo e supporto nella comunicazione. L’obiettivo è quello di stabilizzare il paziente, utilizzando i protocolli EMDR specifici per l’emergenza.

Nelle situazioni di emergenza, in condizioni di elevata emotività, l’evento critico può causare reazioni emotive particolarmente intense. Il Team, attivato sin dalle prime fasi, ha utilizzato modelli di riferimento della Psicologia dell’Emergenza, seguendo il principio dell’outreaching, effettuando un primo triage psicologico, interventi psicoeducativi e fornendo informazioni sulle reazioni all’evento critico e, quindi, sulle normali reazioni da stress post-traumatico.

Al fine di sensibilizzare la struttura e il personale ospedaliero, si è dapprima svolto un evento formativo e informativo, rivolto ai medici e a tutto il personale ospedaliero, e successivamente ci si è rivolti a tutti i reparti di Area Critica per presentare maggiori dettagli sul Progetto e coordinare gli interventi.

Nella stessa ottica, il Team di psicologi che ha lavorato in emergenza presso il Pronto Soccorso Psicotraumatologico ha distribuito e affisso, nelle principali sale di intervento, volantini informativi, con numeri di telefono e orari di presenza. Tutto ciò ha permesso di costruire una rete di contatti con il Primario, la Caposala e i medici di Triage, Shock Room e Area Critica, per diffondere le informazioni in modo omogeneo e capillare.

Sono stati distribuiti anche materiali informativi volti a sottolineare i potenziali effetti psichici dell’esposizione emotiva all’evento traumatico. I materiali distribuiti illustravano le principali fasi che l’individuo poteva attraversare a seguito dell’evento critico e le reazioni emotive e cognitive più comuni e fornivano consigli pratici per accedere al Servizio.

Nel nostro modello di intervento di Pronto Soccorso Psicotraumatologico sono previste diverse fasi: ematologico sono previste diverse fasi:

1) Accoglienza e costruzione della relazione. Bisogna adottare un approccio psicodinamico preliminare a ogni trattamento, sia esso di supporto psicologico che di intervento terapeutico focalizzato sul trauma. Dunque, prima di ogni intervento si consiglia di promuovere un contesto interpersonale in cui la persona che deve intraprendere questo percorso si senta accettata, riconosciuta e protetta. Ciò si realizza attraverso la partecipazione emotiva dello psicologo verso la persona e l’evento che questa ha vissuto o la storia che l’ha contrassegnata. Ci si rivolge alla persona presentandosi, chiarendo i principi che disciplinano la propria professionalità e, successivamente, cercando di esplorare con la cautela necessaria l’evento traumatico recente.

La costruzione di una base sicura implica sensibilità da parte dell’operatore, empatia nei termini di risonanza emotiva e validazione degli stati emotivi presentati dal paziente e, infine, capacità di mentalizzazione, cioè la capacità di riconoscere e comprendere lo stato mentale del paziente, le sue motivazioni, i suoi desideri e la sua sofferenza. A seguito di un trauma i sopravvissuti possono essere spaventati, disorientati e confusi. Diventa fondamentale offrire loro sia conforto fisico che emotivo: un ambiente sicuro, cibo, comfort concreti (per esempio, vestiti o un orsacchiotto da abbracciare, qualora ci si rivolga a un bambino) e altre cose capaci di creare un’atmosfera di calma e sicurezza che consenta di abbassare la tensione (Solomon, 2022). In questo ambito è utile riconoscere la presenza di processi dissociativi (manifestati attraverso sintomi di derealizzazione e/o depersonalizzazione) che possono rendere più difficile l’intervento.

In questa fase preliminare è utile approfondire anche la finalità della nostra presenza, la natura del trattamento e le procedure che verranno impiegate, nonché motivare il paziente a collaborare rispondendo alle domande che vengono poste. Nel contesto ospedaliero di Pronto Soccorso, in particolare, se la vittima non è cosciente o comunque non può comunicare con i propri cari è necessario che lo psicologo, nel contatto con i familiari presenti, individui un “interlocutore privilegiato” con il quale instaurare un dialogo continuativo tenendo conto delle istanze emotive e dei bisogni di contenimento che esprimono i singoli parenti ed il sistema familiare di cui essi fanno parte. Tenendo conto di questa funzione basica, la restituzione delle informazioni sarà portata avanti prendendo in carico i bisogni emotivi della rete familiare presente. Le informazioni andranno dunque restituite con molta attenzione, puntando ad un giusto equilibrio tra bisogni informativi e necessità di rassicurazione, e dovranno essere finalizzate a facilitare la gestione dell’angoscia che i parenti della vittima potrebbero sperimentare. Tale azione, dovrà essere svolta con empatia e le informazioni sulle condizioni cliniche e sulle cure in corso saranno generiche e restituite “in itinere”. Per i familiari il semplice fatto di avere un interlocutore avrà in sé una funzione contenitiva. A maggior ragione nel corso dell’attesa in Pronto Soccorso ospedaliero, e ancora di più nel caso di interventi chirurgici (sala d’attesa nelle Camere Operatorie) o nei reparti di Rianimazione (dove i familiari di solito possono contattare i congiunti feriti per pochi minuti al giorno), ci sarà l’occasione di condividere uno spazio e il tempo con i familiari. La possibilità di condividere uno spazio è un’occasione preziosa di ascolto e di sostegno.

2) Gli interventi e i colloqui in questa fase potranno svolgersi talvolta in contesti meno informali come delle stanze per i colloqui clinici psicologici, anche se nell’ambito della ricerca costante di un equilibrio prossimità/discrezione. Lo psicologo dovrà essere pronto a cogliere le richieste implicite e informali di ascolto. Nell’ambito dei Reparti si prefigura una permanenza del paziente per alcune settimane. Nel corso di questa degenza lo psicologo dovrà impegnarsi a rimanere in contattato con le figure sanitarie (medici, infermieri, talvolta terapisti). Il contatto con i sanitari sarà utile per assolvere la funzione informativa nei confronti dei familiari. Nell’ambito della funzione informativa e di sostegno ai familiari, durante la degenza lo psicologo potrà sfruttare la possibilità di avere accesso al Reparto e dunque di mantenere un maggiore contatto con il paziente ricoverato.

3) Valutazione. Lo psicologo deve poter rispondere alla domanda “che cosa è effettivamente accaduto?”. A tal fine, potrebbe essere necessario, ad esempio, accertarsi che la vittima indiretta fosse la persona presente al momento dell’evento potenzialmente traumatico o, qualora non fosse stata presente, comprendere in che modo ne abbia appreso la notizia. Oltre a raccogliere le opportune informazioni sull’evento potenzialmente traumatico, è necessario valutare quanto sia frammentato il ricordo e quanto esso sia accompagnato da uno stato di attivazione emotiva Si rivela particolarmente importante anche valutare l’impatto che l’evento ha avuto sul funzionamento individuale della vittima. Occorre, dunque, comprendere in che modo l’evento si colloca nella vita del paziente, prestando attenzione ai sintomi e alle reazioni che il paziente ha sviluppa- to, agli obiettivi di vita che sono stati compromessi o minacciati dall’evento, le strategie di coping impiegate per affrontare le proprie difficoltà, le strategie di regolazione emozionale maggiormente impiegate e il senso di autoefficacia.

È fondamentale anche indagare l’eventuale presenza di una rete sociale che possa supportare la vittima ed esaminare il modo in cui essa se ne avvale. Occorre prestare attenzione, dunque, alle sue capacità relazionali. A questo proposito, raccogliere informazioni su eventuali eventi traumatici all’interno delle relazioni significative può rivelarsi utile per formulare un’ipotesi più accurata sullo stile di attaccamento della vittima e di come questo incida sulle strategie di gestione del dolore o del lutto; tale informazione ha diverse implicazioni per il trattamento. L’approfondimento dell’anamnesi dipende dalle impressioni cliniche dello psicologo, così come la decisione sul tempo necessario per passare da una fase all’altra del trattamento. Un soggetto con un’elevata capacità di integrazione, ad esempio, potrebbe essere in grado di comunicare rapidamente che cosa sia successo e quale impatto l’evento critico abbia avuto su di lui. In casi simili, la persona potrebbe essere pronta, perciò, per il trattamento nell’immediato. Diversamente, una vittima con sintomi dissociativi ed un attaccamento disorganizzato potrebbe avere bisogno di ricevere molteplici interventi di stabilizzazione prima di procedere con gli interventi focalizzati sull’elaborazione dell’evento traumatico.

4) Trattamento. Se si interviene a breve dall’evento, l’intervento deve orientarsi prevalentemente verso l’impiego di forme di sostegno emotivo, o tecniche di intervento psicoeducativo, gestione dello stress, o di regolazione emozionale. Prima di entrare nel vivo del nostro intervento è necessario lavorare sulla stabilizzazione psico-fisiologica del paziente, intesa come l’apprendimento di strategie di auto-regolazione emotiva. L’obiettivo è riportare il paziente all’interno di una “finestra di tolleranza emotiva”, riducendo così la possibilità di stallo causato dalla comparsa di fenomeni di iperattivazione o di ipoattivazione a livello psico-fisico che possa sovrastarlo. Nel caso in cui a seguito di una valutazione accurata si evince la presenza di aspetti sintomatologici riferibili a una patologia post-traumatica, si può intervenire anche con tecniche focalizzate sul trauma.

Ulteriormente, possiamo distinguere tre diverse fasi all’interno delle quali possono essere collocati gli interventi effettuati.

Fase uno – One shot

Qui rientrano tutti quegli interventi contestuali in cui l’obiettivo è contenere e stabilizzare il paziente. Sono interventi che spesso si risolvono in un solo incontro in quanto i pazienti in Pronto Soccorso sono di passaggio. Altre volte si concorda col soggetto/paziente, dopo aver fatto una raccolta, valutazione e identificazione dei bisogni attraverso la procedura di triage psicologico, il percorso d’intervento da eseguire in incontri concordati in cui sono stati somministrati strumenti testologici e utilizzati i protocolli d’intervento.

Nel primo contatto con il soggetto/paziente, occorre adottare adeguate modalità comunicative, che facilitino il contenimento e la stabilizzazione emotiva. Vengono, dunque, eseguite attività mirate al supporto e alla gestione dei livelli di arousal che consentirebbero di promuovere anche l’iperattività nei soggetti disorientati o sovraeccitati.

All’interno della fase uno, sono state utilizzate tecniche di stabiliizzazione e regolazione emotiva quali:

Tecniche di rilassamento e respirazione addominale. Nel rilassamento muscolare progressivo di Jacobson si propongono una serie di esercizi di contrazione volontaria, e consecutivo rilassamento, dei principali distretti muscolari per un intervallo di tempo che varia dai quattro agli otto secondi in una sequenza progressiva. Al contempo si invita la persona a porre l’attenzione sulle proprie sensazioni di tensione e di rilassamento. Per la respirazione addominale si chiede alla persona di porre una mano sullo sterno e una sull’addome e di impegnarsi in una serie di respiri lenti e profondi tali da innalzare la mano sull’addome più di quella posta sul torace.

Grounding (o “radicamento al presente”). È una tecnica molto utile, teorizzata da Alexander Lowen, medico e psicoanalista, che lavorò tantissimo sul corpo e sui legami che esso ha con la psiche. Gli esercizi previsti permettono di sperimentare un maggiore senso di “presenza” e di permanenza nel momento presente. Ad esempio, è utile chiedere al paziente di concentrarsi sulle sensazioni di contatto dei propri piedi con il pavimento e di notare quale effetto producano tali sensazioni. Si può chiedere anche di porre attenzione sul contatto della schiena con la sedia. Infine, può rivelarsi utile far toccare con le mani una parete o qualcosa di stabile e chiedere di prestare attenzione al senso di stabilità che viene percepito. Lo scopo è sempre quello di riportare il soggetto nel qui ed ora, laddove sia presente una tendenza difensiva di natura dissociativa che produce un detachment, cioè uno scollamento dal momento presente ed un’alterazione dello stato di coscienza. Giovanni Liotti (1992) sostiene che il detachment corrisponde a una fase transitoria della coscienza, uno stato alterato in grado di segnalare lo shifting tra parti dissociate di sé. Trovarsi, dunque, in uno stato di detachment, corrisponde al sopraggiungere di una parte di sé rimasta fino a quel momento silente, ora rievocata, in grado con il suo accesso di modificare lo stato di coscienza di un individuo poiché entrata in conflitto con la parte fino a quel momento “presente”. Al fine di tornare al momento presente, possono essere utilizzate anche alcune “risorse di centratura” tramite esercizi che aiutano a recuperare equilibrio e connessione con se stessi quando si è in difficoltà e ci si sente senza punti di appoggio o senza riferimenti “emotivi”. Essere centrati è un’abilità che si può sviluppare ed utilizzare efficacemente. Le risorse somatiche di centratura implicano l’osservare e il percepire dentro di sé il centro di gravità del corpo, posto circa 10 cm al di sotto dell’ombelico. Prestare attenzione a questa zona può aiutare a riconnettersi con il proprio baricentro so- matico; ciò può essere fatto, ad esempio, ponendo le mani sul basso ventre e osservando consapevolmente le sensazioni che vengono generate dal contatto delle mani sulla pancia.

Autoregolazione emotiva. La capacità autoregolativa viene aumentata mediante la costruzione di percorsi preparatori e anticipa- tori che aumentano la consapevolezza e il controllo.

Fase due

In un secondo momento è stato fondamentale effettuare interventi di psicoeducazione, volti a normalizzare le reazioni della vittima e a dare informazioni sulle principali reazioni che possono preludere allo sviluppo di un disturbo post-traumatico, quali, ad esempio, evitamento e ritiro sociale, ideazioni intrusive e sintomi persistenti associati all’aumento dell’arousal; così come è stato particolarmente importante normalizzate le sensazioni di rabbia, di impotenza e di colpa per le proprie reazioni. Sono state utili anche forme di ri-etichettamento delle sensazioni somatiche, perciò si è discusso degli atteggiamenti disfunzionali o delle credenze irrazionali a seguito dell’evento critico.

Un altro intervento importante è consistito nel discutere delle strategie di coping, fornendo indicazioni sulle azioni e sulle abilità che potrebbe essere impiegate al fine di superare, o di affrontare al meglio, le condizioni stressanti generate dall’evento critico. A questo proposito, sono state fornite informazioni su quali siano le attività utili e necessarie per far fronte allo stress e su quelle da evitare, promuovendo una riflessione su ciò che ci si può aspettare nel futuro e l’individuazione di una vision e di una mission che ci si può prospettare dopo aver superato l’impatto dell’evento critico. È molto importante, in particolare nelle fasi iniziali, evitare di intervenire in modo forzato sull’impatto emotivo dell’evento critico sulla vittima; infatti, è sempre più opportuno accogliere comunque le reazioni e le emozioni che emergono e monitorare il paziente ponendo se stessi e il contesto dell’incontro come una base sicura, favorendo un’esposizione graduale al ricordo dell’evento.

Fase tre


La fase finale del lavoro svolto con i soggetti della ricerca-intervento ha riguardato gli incontri focalizzati sull’elaborazione del trauma mediante la metodologia EMDR con l’utilizzo di protocolli specifici di intervento quali il Protocollo Quinn e il Protocollo Eventi Recenti.

L’EMDR è un approccio psicoterapeutico che può essere adeguatamente integrato e adattato ai contesti di emergenza e post-emergenza. Tale approccio implica:
– La promozione di una sensazione di sicurezza, attraverso tecniche che consentano di stabilizzare i sintomi di disagio psico-fisico presentati dalla persona e di farle esperire una sensazione di sollievo, nonché facendole apprendere tecniche di rilassamento semplici e immediate.
– Protocolli dedicati alle fasi acute, che prevedono la stabilizzazione, il Protocollo di Gary Quinn e il Protocollo Eventi Recenti di Elan Shapiro.
– L’accompagnamento alle fasi di elaborazione del lutto e il supporto in occasione della comunicazione delle bad news.
– L’installazione di risorse, per sviluppare la resilienza e la crescita post-traumatica.

L’EMDR utilizzato in una situazione traumatica permette una rielaborazione adattiva dell’informazione immagazzinata in maniera disfunzionale. Spesso le situazioni d’emergenza fungono da trigger per traumi precedenti non elaborati adeguatamente, in tal caso l’EMDR incide sui traumi precedenti irrisolti.

Nel caso di DAS (Disturbo d’Ansia Sociale), PTSD (Disturbo da Stress Post-Traumatico) e Disturbo dell’Adattamento, l’EMDR accompagna verso la remissione dei sintomi. In caso di disturbi correlati allo stress post-traumatico non diagnosticabili attraverso i criteri del DSM-5-TR (American Psychiatric Association, 2022), comporta comunque sollievo e facilita la crescita post-traumatica.

Finalità della ricerca

Il progetto, nato dalla sensibilità della struttura ospedaliera sui temi dell’aggressione ai medici in occasione di eventi complessi e critici presso l’area del Pronto Soccorso, ha evidenziato diversi aspetti, emersi a seguito del lavoro di ricerca-intervento. L’evidenza più sorprendente è stata messa in evidenza dalla netta riduzione delle aggressioni ai medici durante i turni con la presenza dello psicologo. L’attivazione di procedure da parte del Team ha evidenziato una maggiore e più efficace compliance da parte dei pazienti e dei loro familiari verso il personale sanitario.

È possibile rendere evidente che, attraverso il progetto, il Team di psicologi ha operato ed erogato l’intervento nell’immediatezza dell’evento potenzialmente traumatico (fase peritraumatica, come nel caso del Pronto Soccorso ospedaliero), o in momenti successivi alla fase acuta (fase post-critica), nei reparti, favorendo i processi di elaborazione emotiva e le strategie di adattamento individuali e familiari. Il paziente che arriva in Pronto Soccorso si trova infatti in un momento difficile, spesso anche per l’assenza di informazioni, i lunghi momenti di attesa, la mancanza di una compliance con i medici. Inoltre, l’assenza di protocolli specifici per gestire la relazione tra medico e paziente aumentano il rischio di non disporre di adeguate strategie che, in un momento di elevata attivazione, potrebbe indurre il personale medico ad agire in maniera impropria mettendo in atto comportamenti che non ridurrebbero l’arousal e la rabbia del paziente, predisponendolo all’azione.

L’intervento si è mosso per ripristinare i livelli normali di arousal, per aiutare i pazienti a reperire e recuperare le proprie strategie interne attraverso un’azione contenitiva. L’intervento psicologico in acuto ha avuto quindi una funzione contenitiva e preventiva trasmettendo, inoltre, un messaggio di legittimazione del dolore, dell’inne- gabile coinvolgimento emozionale del personale sanitario e favorendo una crescita personale professionale post evento critico.

Gli incontri e i colloqui individuali sono spazi utili per contenere le reazioni da stress acuto, per favorire la rielaborazione cognitiva emozionale dell’accaduto, per prevenire la cronicizzazione del disagio nel personale sanitario. La procedura EMDR, in tal senso, si conferma tra gli operatori una modalità terapeutica efficace, ecologica ed elettiva in acuto in ospedale, in occasione di eventi critici che possono creare una traumatizzazione vicaria per gli operatori.

Il pensiero alla base delle ipotesi del progetto di ricerca-intervento in Pronto Soccorso muove dalle difficoltà evidenziate dalle numerose testate giornalistiche in merito alle sempre più numerose aggressioni verso il personale sanitario.

La difficile situazione sanitaria è resa ancor più lampante dalla recente pandemia e nella gestione dei pazienti con forte attivazione (arousal), prodroma di escalation aggressive rivolte al personale sanitario, dettate spesso da una non adeguata comunicazione, lunghe attese in sala d’attesa, comunicazioni decesso/bad news, generando in molti casi una difficile gestione delle proprie emozioni e dei propri vissuti e sfociando in una azione che non permette al soggetto/paziente o al familiare il ripristino di condizioni funzionali e dunque il conseguente insorgere di disturbi più gravi e di possibile vittimizzazione secondaria.

Il progetto muove, dunque, nella direzione di inserire la figura dello psicologo per determinare una diminuzione degli effetti dovuti a quanto sopra indicato, ma anche per consentire una presa in carico dei pazienti sul piano psicologico, umanizzando il processo di cura spesso manchevole di protocolli specifici di personale in Pronto Soccorso, rendendo possibile uno scenario che possa andare incontro alla legittimazione del dolore e delle emozioni connesse all’evento traumatico, con evidente aumento dell’arousal, aiutando i soggetti a riconoscere il proprio vissuto offrendo supporto e contenimento emotivo in una fase traumatica quale l’accesso in ospedale. Il progetto è rivolto ai pazienti, ai familiari e al personale sanitario al fine di ridurre lo stress acuto causato dall’evento traumatico e di promuovere il funzionamento adattivo e la resilienza (Southwick et al., 2014) non solo del soggetto ospedalizzato in fase critica ma anche dei familiari e dei parenti dell’assistito. In tal senso, molte evidenze scientifiche mostrano come sia importante intervenire con adeguati programmi psicosociali fin dal periodo immediatamente successivo all’evento (Bleich et al., 2003). Le ipotesi sono state volte a verificare e dimostrare che, attraverso una maggiore accoglienza e assistenza di primo sostegno in fase iniziale, si possono prevenire reazioni post traumatiche, si può creare una maggiore compliance nei confronti del personale sanitario e definire un intervento specifico di intervento strutturato attraverso protocolli in emergenza.

In conclusione, l’intervento prevedeva una riduzione dei sintomi in acuzie sia delle vittime di eventi critici che del personale ospedaliero, la riduzione dell’iperarousal dei pazienti in ingresso, la creazione di un’alleanza di lavoro con i medici, e la riduzione totale dei livelli di aggressività espressi contro il personale sanitario. Di seguito, vengono riportate le procedure metodologiche e i risultati della ricerca condotta al fine di testare l’efficacia del protocollo di intervento basato sull’EMDR.

Metodologia della ricerca

Partecipanti

Il protocollo di intervento è stato rivolto a 1757 individui. Tra questi, hanno preso parte alla ricerca 43 pazienti in ingresso in Pronto Soccorso a seguito di un evento critico e 18 individui appartenenti al personale ospedaliero, di cui 12 infermieri (66,7%) e 6 medici (33,3%).

I partecipanti appartenenti al gruppo dei pazienti erano equamente distribuiti in relazione al genere (22 femmine; 51,2%). Sulla base delle informazioni socio-demografiche raccolte, 42 pazienti avevano un’età compresa tra i 17 e i 78 anni (M = 47,55; DS = 17,30).

Il gruppo del personale ospedaliero era composto prevalentemente da partecipanti di sesso femminile (n = 13; 72,2%). Le informazioni socio-demografiche raccolte indicano che 17 partecipanti appartenenti a tale gruppo avevano un’età compresa tra i 30 e i 60 anni (M = 46,41; DS = 10,01).

Strumenti

A tutti i partecipanti della ricerca sono stati somministrati due strumenti volti a valutare un’ampia gamma di sintomi psicopatologici prima dell’implementazione del protocollo di intervento e alla fine dello stesso al fine di valutarne l’efficacia sulla riduzione dei sintomi e, dunque, sul disagio psicologico manifestato dai pazienti che erano stati coinvolti in eventi altamente stressanti e dal personale ospedaliero. Di seguito, vengono presentate le caratteristiche degli strumenti impiegati, quali la Scala di Valutazione dei Sintomi Trasversali di Livello 1 Autosomministrata – Adulto (DSM-5 Self-Rated Level 1 Cross-Cutting Symptom Measure – Adult, CCSM; APA, 2013; adattamento italiano a cura di Fossati et al., 2015a) e la Gravità dei Sintomi da Stress Post-Traumatico – Adulto (National Stressful Events Survey for PTSD-Short Scale; NSESSS-PTSD; LeBeau et al., 2014; adattamento italiano a cura di Fossati et al. 2015b).

Il CCSM (APA, 2013; adattamento italiano a cura di Fossati et al., 2015a) è uno strumento autosomministrato che valuta la gravità dei sintomi appartenenti a specifici domini psicopatologici. Il CCSM è composto da 23 domande attraverso cui si chiede con quale frequenza i sintomi presentati si sono verificati durante le ultime due settimane. Tutte le domande sono valutate mediante una scala Likert a cinque punti (da 0 = “assente/per nulla” a 4 = “grave/ quasi tutti i giorni”). Le risposte ottenute consentono di calcolare i punteggi a 13 scale cliniche, che valutano rispettivamente depressione, rabbia, mania, ansia, sintomi somatici, ideazione suicidaria, psicosi, alterazioni del sonno, problemi di memoria, sintomi ossessivo-compulsivi, dissociazione, funzionamento disadattivo della personalità e uso di sostanze. Più sono elevati i punteggi ottenuti in una specifica scala, maggiore è la gravità dei corrispettivi sintomi. A titolo esemplificativo, si riporta uno degli item dello strumento: “Si è sentito/a spinto/a a compiere determinati comportamenti o atti mentali più e più volte?” (domanda finalizzata a valutare i sintomi ossessivo-compulsivi). Il CCSM ha dimostrato adeguate proprietà psicometriche negli studi precedentemente condotti (Bravo et al., 2018; Doss & Lowmaster, 2022; Narrow et al., 2013).

Il NSESSS-PTSD (LeBeau et al., 2014; adattamento italiano a cura di Fossati et al. 2015b) è uno strumento autosomministrato che consente di valutare la gravità dei sintomi da stress post-traumatico. Lo strumento è composto da 9 domande tramite cui viene chiesto ai soggetti di indicare quanto ciascun sintomo li abbia disturbati in seguito a eventi o esperienze altamente stressanti durante gli ultimi sette giorni. Ciascuna domanda viene valutata su una scala Likert a 5 punti (da 0 = “per nulla” a 4 = “moltissimo”). Lo strumento consente di calcolare i punteggi ad una scala totale, con punteggi più elevati che indicano una maggiore gravità del disturbo. Si riporta un item dello strumento a titolo esemplificativo: “Ha avuto dei ‘flashback’, ovvero si è improvvisamente sentito/a o ha agito come se un evento stressante del passato stesse accadendo di nuovo (per es., ha rivissuto alcune parti dell’evento stressante, vedendo, ascoltando, sentendo odori o percependo fisicamente momenti dell’esperienza)?”. Gli studi precedentemente condotti a livello internazionale suggeriscono che il NSESSS-PTSD costituisca uno strumento valido e affidabile (LeBeau et al., 2014; Kim et al., 2022).

Analisi Statistiche


Sono state esaminate le statistiche descrittive per tutte le variabili di interesse dello studio, prestando particolare attenzione alla distribuzione dei punteggi riportati alle scale del CCSM e del NSESSS-PTSD sia nella fase precedente al trattamento che alla conclusione di quest’ultimo. Altresì, è stato impiegato il test t per campioni accoppiati al fine di esaminare le differenze dei punteggi riportati alle scale del CCSM e del NSESSS-PTSD in occasione della prima e della seconda fase della rilevazione dei dati, consentendo così di valutare l’efficacia dell’intervento. In particolare, l’ef- fect size dell’intervento è stato valutato attraverso il coefficiente d di Cohen. Le statistiche descrittive e i risultati del test t ottenuti dall’analisi dei punteggi riportati dal gruppo dei pazienti e dal gruppo degli operatori ospedalieri sono stati riportati, rispettivamente, in Tabella 1 e in Tabella 2.

Risultati

In occasione dell’ingresso presso il servizio di Pronto Soccorso, i pazienti hanno riportato punteggi moderatamente elevati alle scale dei sintomi da stress post-traumatico, dei sintomi ansiosi e depressivi, della rabbia e delle alterazioni del sonno e punteggi lievemente elevati, seppure suggeriscano ulteriori approfondimenti, alle scale dei sintomi ossessivo-compulsivi e del funzionamento disadattivo della personalità. Il personale ospedaliero ha riportato, invece, punteggi moderatamente elevati alla scala dei sintomi da stress post-traumatico e della rabbia. Altresì, sono stati riportati punteggi lievemente elevati, seppure suggeriscano ulteriori approfondimenti, alle scale dei sintomi ansiosi e depressivi, della mania, delle alterazioni del sonno, dei problemi di memoria e del funzionamento disadattivo della personalità.

I risultati del test t hanno mostrato che i pazienti hanno riportato punteggi significativamente più bassi a tutte le scale del CCSM e al NSESSS-PTSD a seguito dell’implementazione dell’intervento. Il protocollo di intervento sembra aver avuto una grande efficacia nella riduzione dei sintomi da stress post-traumatico e dei sintomi ansiosi, depressivi e somatici, delle alterazioni del sonno, della rabbia e della compromissione nel funzionamento personologico. A questo proposito, è possibile constatare come la differenza tra i punteggi riportati prima dell’implementazione dell’intervento e quelli riportati dopo la conclusione dello stesso era compresa tra 0,83 e 1,61, segnalando una diminuzione importante della gravità dei sintomi. Si denota, invece, un’efficacia moderata dell’intervento per quanto concerne la riduzione dei sintomi ossessivo-compulsivi e dei problemi di memoria, nonché un’efficacia di lieve entità, seppur significativa, nella riduzione dei sintomi dissociativi, maniacali e psicotici e dell’uso di sostanze.


Anche nel gruppo del personale ospedaliero, è stata osservata una riduzione significativa dei sintomi psicopatologici nella fase successiva all’intervento. I risultati suggeriscono che l’intervento abbia avuto una grande efficacia nella riduzione dei sintomi da stress post-traumatico, dei sintomi depressivi e ansiosi, delle compromissioni nel funzionamento della personalità e della rabbia, con una differenza dei punteggi riportati nella fase precedente al trattamento e i punteggi riportati nella fase successiva al trattamento compresa tra 0,67 e 0,94. Altresì, i risultati suggeriscono che l’intervento abbia avuto effetti di moderata entità sui sintomi somatici e maniacali, sulle alterazioni del sonno, sui problemi di memoria e sull’uso di sostanze.

Discussioni

Lo studio condotto ha indagato l’efficacia di un protocollo di intervento basato sull’EMDR rivolto a persone che presentavano un alto rischio di sviluppare numerose forme di disagio psicopatologico a seguito dell’esposizione ad eventi altamente stressanti. In particolare, la ricerca è stata rivolta a coloro che hanno usufruito del servizio di Pronto Soccorso Psicotraumatologico attivato presso l’Azienda Ospedaliera “Ospedali Riuniti Villa Sofia-Cervello” di Palermo dopo essere stati coinvolti in un evento critico, nonché al personale ospedaliero.

In occasione dell’ingresso presso il servizio di Pronto Soccorso, i pazienti hanno riportato di soffrire di molteplici forme di disagio psicopatologico che non erano esclusivamente riconducibili ai sintomi da stress post-traumatico. Tra questi, è possibile annoverare i sintomi ansiosi, depressivi e ossessivo-compulsivi, la rabbia, le alterazioni del sonno e le compromissioni nel funzionamento della personalità. Tali osservazioni supportano le evidenze empiriche che suggeriscono come lo stress peri-traumatico costituisca un importante fattore di rischio non solo per i sintomi del PTSD ma anche per un ampio spettro di condizioni psicopato- logiche (Vance et al., 2018).

Anche i partecipanti appartenenti al gruppo del personale ospedaliero presentavano un’ampia gamma di sintomi psicopatologici che richiedevano ulteriori approfondimenti, tra cui i sintomi da stress post-traumatico, i sintomi ansiosi, depressivi e maniacali, la rabbia, le alterazioni del sonno, i problemi di memoria e le compromissioni del funzionamento personologico. È opportuno sottolineare come i professionisti che operano in ambito sanitario sono a rischio di incorrere in numerose condizioni in grado di compromettere il benessere individuale. A titolo esemplificativo, si può far riferimento alla traumatizzazione vicaria, al burnout e alla compassion fatigue (Fernández-Sánchez et al., 2018; Isobel & Thomas, 2022; Sinclair et al., 2017; van Mol et al., 2015). A fronte di ciò, è essenziale poter intervenire efficacemente sulle diverse forme di disagio psicopa- tologico che possono presentarsi nel personale ospedaliero, anche quando non si manifestano gravi condizioni cliniche.

I risultati della ricerca hanno mostrato una significativa diminuzione di numerosi sintomi di cui soffrivano sia i pazienti che gli operatori sanitari al termine dell’intervento basato sull’EMDR. A questo proposito, i valori dei coefficienti di effect size suggeriscono che l’intervento abbia avuto una grande efficacia nel trattamento dei sintomi da stress post-traumatico in entrambi i gruppi. Tali risultati supportano i dati presenti in letteratura che mostrano come l’EMDR costituisca un protocollo di intervento efficace nel trattamento sia dei sintomi appartenenti al PTSD che dei sintomi correlati al trauma (Wilson et al., 2018).

In riferimento ai pazienti che si erano rivolti al servizio di Pronto Soccorso Psicotraumatologico, è possibile constatare un’efficacia dell’intervento particolarmente elevata anche sui sintomi ansiosi, depressivi e somatici, sulle alterazioni del sonno, sulla rabbia e sulla compromissione nel funzionamento personologico, nonché livelli di efficacia da moderata a lieve anche sui restanti sintomi psicopatologici esaminati. Ciò suggerisce che un protocollo di intervento basato sull’EMDR possa costituire uno strumento particolarmente rilevante anche nel trattamento delle alterazioni emotive e comportamentali non direttamente sovrapponibili ai sintomi tipici dei disturbi correlati al trauma (per esempio, i sintomi del PTSD), facilitando così i processi di adattamento a seguito delle compromissioni nel funzionamento individuale connesse all’esperienza altamente stressante che la persona ha sperimentato.

I risultati pongono in evidenza una riduzione significativa di molteplici sintomi psicopatologici, quali i sintomi depressivi, ansiosi, somatici e maniacali, le compromissioni nel funzionamento della personalità, la rabbia, le alterazioni del sonno, i problemi di memoria e l’uso di sostanze, anche nel personale ospedaliero al termine dell’intervento basato sull’EMDR. Tale protocollo di intervento, dunque, potrebbe rivelarsi utile nel supporto degli operatori sanitari che potrebbero essere esposti indirettamente a eventi potenzialmente traumatici o, ancora, a situazioni altamente stressanti a causa dei quali potrebbero aver sviluppato diverse forme di disagio psicopatologico.

È necessario considerare i risultati del presente studio alla luce di alcuni importanti limiti. In primo luogo, il ridotto numero di partecipanti limita la possibilità di generalizzare i risultati della ricerca. Inoltre, sono stati impiegati strumenti di valutazione autosomministrati che, nonostante abbiano dimostrato nella letteratura scientifica adeguate psicometriche e abbiano reso particolarmente agevole la valutazione dei sintomi in una condizione di emergenza, potrebbero non rilevare in modo dettagliato come una valutazione clinica attraverso intervista l’eventuale presenza e gravità dei fenomeni psicopatologici osservati. Infine, il disegno di ricerca non ha previsto l’adozione di appositi gruppi di controllo, che avrebbero permesso di esaminare il ruolo del tempo trascorso tra l’inizio dell’intervento e il termine dello stesso nella riduzione dei sintomi psicopatologici riportati dai pazienti e dal personale ospedaliero. A fronte di tali limiti, è auspicabile che le future ricerche adottino disegni di ricerca che prevedano un più elevato numero di partecipanti, l’assegnazione di alcuni partecipanti a gruppi di controllo o waiting-list e, infine, l’impiego di interviste strutturate o semi-strutturate al fine di valutare con maggiore accuratezza le condizioni psicopatologiche presentate dai partecipanti.

Pur considerando tali limiti, lo studio mostra come l’intervento basato sul protocollo EMDR nel contesto psicotraumatologico si sia rilevato efficace, generando un rilevante decremento della sintomatologia psicologica riferita e pertanto garantendo a molti utenti un miglioramento della propria condizione psichica in seguito agli effetti delle traumatizzazioni.

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