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Il fenomeno delle radiazioni: ecco come danneggiano il Dna

Tempo di lettura: 3 minuti

Un recente studio condotto dall’Università di Trento ha chiarito, tramite simulazioni, come le radiazioni possano influire sul DNA e come questo impatto possa contribuire all’insorgenza del cancro

Noi non ne siamo consapevoli, ma siamo esposti alle radiazioni ionizzanti più frequentemente di quanto possiamo immaginare. Queste radiazioni sono presenti quando ci esponiamo al sole o quando ci sottoponiamo a esami diagnostici basati sui raggi X. Persino durante un volo su un aereo di linea intercontinentale, che raggiunge altitudini di oltre 10.000 metri, siamo soggetti a questo tipo di radiazioni. Questa forma di radiazione costituisce un potenziale rischio per il nostro DNA, in quanto ha la capacità di provocare danni, alterazioni o addirittura rottura della sua struttura, aumentando così il rischio di sviluppare tumori.

Recentemente, ricercatori del Dipartimento di Fisica dell’Università di Trento hanno rivelato, tramite simulazioni, il legame tra l’impatto delle radiazioni sul DNA e il momento in cui la molecola subisce danni irreversibili. Questa scoperta apre nuove prospettive nel campo delle terapie contro il cancro, aprendo la strada a potenziali trattamenti basati sulla comprensione di come le radiazioni danneggino il DNA e sulla possibilità di intervenire in modo mirato per prevenire o trattare il cancro.

Lo studio nel dettaglio

Il gruppo di studiosi formato da Manuel Micheloni, Lorenzo Petrolli, Gianluca Lattanzi, e guidato da Raffaello Potestio ha infatti calcolato il tempo medio tra l’irraggiamento ionizzante e la rottura del filamento. E ha scoperto che più aumenta la distanza tra le zone danneggiate del Dna, più a lungo la struttura resta unita. Di conseguenza aumenta il tempo a disposizione della cellula per ripararla. I ricercatori hanno creato al computer, come in una sorta di videogame, una sequenza di Dna a doppio filamento. Dopo che questa è stata colpita dalla radiazione, ne hanno osservato il comportamento. Uno degli effetti più pericolosi è la rottura del Dna conosciuta come double-strand break ovvero l’interruzione della continuità strutturale e chimica dello scheletro del Dna nei due filamenti complementari.

Questo tipo di lesioni può scatenare conseguenze dannose a livello cellulare. Gli studiosi hanno capito che la rottura non avviene subito e il tempo che impiega la catena a separarsi cresce in modo esponenziale con la distanza tra i tagli nel Dna. Gli autori del lavoro sono riusciti a ricostruire la legge del tempo medio di rottura con la distanza tra i tagli. “Questa informazione è cruciale – sottolinea Raffaello Potestio – perché verosimilmente impatta sull’efficacia dei processi di riparo del Dna”. La cellula possiede un complesso sistema enzimatico di controllo e ‘manutenzione’ del Dna, che si innesca quando riceve segnali di lesione. Questo meccanismo, tuttavia, non scatta immediatamente dopo il danno, e un ritardo in questa operazione può ripercuotersi sul normale funzionamento della cellula stessa.

La modifica della sequenza può non essere impattante se avviene tramite una o più mutazioni sinonime, che danno luogo alla sintesi della stessa proteina. Se però si verificano modifiche sostanziali nella sequenza di Dna o errori nella procedura di riparo, nella migliore delle ipotesi la cellula si suicida (tecnicamente “va in apoptosi”), perché si rende conto che la sequenza è errata o danneggiata in maniera irreparabile. Nella peggiore delle ipotesi, invece, la cellula ricostituisce l’integrità della catena di Dna ma accumulando mutazioni o alterazioni della sequenza nucleotidica che potrebbero dare luogo a un comportamento disfunzionale, che produce modifiche genetiche, mutazioni cromosomiche o l’insorgenza di tumore.

I possibili risvolti

Gli esperti ritengono che questa ricerca abbia un’importanza potenzialmente significativa nel campo radiobiologico e costituisca un passo iniziale verso futuri sviluppi nell’ambito medico, sia in termini terapeutici che preventivi. Un aspetto distintivo di questo studio risiede nell’utilizzo di metodi di simulazione numerica, che potrebbero essere successivamente riprodotti attraverso esperimenti pratici. La transizione dall’ambito computazionale all’applicazione pratica in laboratorio rappresenta uno degli obiettivi chiave dei ricercatori.

Comprendere le dinamiche scaturite dall’interazione tra le radiazioni e il DNA apre la prospettiva, a lungo termine, di sviluppare nuove tecniche di intervento con la radioterapia, sempre più precise e mirate. Ciò potrebbe consentire un notevole progresso nel trattamento dei pazienti affetti da diverse patologie, con l’obiettivo di massimizzare l’efficacia terapeutica e minimizzare gli effetti collaterali.

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