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Schizofrenia, in arrivo un nuovo trattamento? Lo studio

Tempo di lettura: 2 minuti

Sotto la lente d’ingrandimento nuovi farmaci volti a potenziare i processi naturali di autodifesa del cervello per combattere la schizofrenia

La schizofrenia rappresenta uno dei disturbi psichiatrici più gravi, con un’incidenza dello 0,5% nella popolazione, e molte lacune persistono riguardo ai meccanismi sottostanti. Una ricerca condotta dall’Unità di Neurofarmacologia presso il Dipartimento di Patologia Molecolare dell’I.R.C.C.S. Neuromed di Pozzilli (IS) focalizza l’attenzione su una categoria specifica di recettori presenti sulla membrana delle cellule nervose: i recettori delle amine in traccia (TAAR). Questi recettori sono sempre più considerati componenti cruciali nella trasmissione dei segnali tra neuroni. Le amine in traccia sono molecole in grado di influenzare l’attività dei neurotrasmettitori più comuni, regolando così la trasmissione sinaptica.

I ricercatori di Neuromed hanno condiviso i loro risultati sulla rivista scientifica ‘Schizophrenia Bulletin’ dopo aver esaminato campioni cerebrali autoptici forniti dall’Harvard Brain Tissue Resource Center negli Stati Uniti. Nel dettaglio, hanno confrontato 23 campioni provenienti da individui affetti da schizofrenia con altrettanti campioni provenienti da individui non affetti dalla malattia.

Ecco cosa farebbero i nuovi farmaci

“Abbiamo potuto vedere che nei campioni di corteccia cerebrale prefrontale provenienti da individui affetti da schizofrenia (la corteccia prefrontale è una regione del cervello cruciale per le funzioni cognitive avanzate, N.d.R.) c’era un aumento significativo dei livelli di espressione del recettore delle amine in traccia, denominati TAAR1 – spiega Milena Cannella, ricercatrice dell’Unità di Neurofarmacologia, ultimo autore del lavoro scientifico. Alcuni farmaci che attivano i recettori TAAR1 sono in fase avanzata di sviluppo clinico per il trattamento della schizofrenia. Questo ci induce a pensare, dunque, che l’aumentata espressione di TAAR1 osservata nella corteccia prefrontale di pazienti affetti da schizofrenia rappresenti un potenziale meccanismo di compenso finalizzato a correggere le disfunzioni della trasmissione nervosa causate dalla malattia”.

Ciò che i farmaci sperimentali farebbero, in altri termini, non è colpire i meccanismi all’origine della schizofrenia, ma favorire un processo naturale che il cervello sta già cercando di mettere in moto per contrastare le disfunzioni causate dalla malattia stessa.

Clicca qui per leggere l’estratto originale dello studio.


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