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Avelumab: Innovazione e Nuove Prospettive – Dott. Andrea Sponghini

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Nuovo appuntamento con ‘Conoscere l’Oncologia’, il format dedicato agli approfondimenti oncologici. In questo nuova puntata andiamo ad esplorare il farmaco Avelumab insieme ad un esperto del settore: il Dott. Andrea Pietro Sponghini

“Conoscere l’Oncologia” è il format di Italian Medical News dedicato agli approfondimenti sulle innovazioni in ambito oncologico, che oggi si concentra su un tema di grande attualità: l’utilizzo di Avelumab. In questo appuntamento, intervistiamo nuovamente un protagonista di spicco del panorama oncologico, il Dott. Pietro Andrea Sponghini – Responsabile degenza della S.C.D.U. di Oncologia presso l’A.O.U. ‘Maggiore della Carità’ di Novara – il quale ci illustrerà i meccanismi di azione, il profilo di sicurezza e le nuove prospettive che questo farmaco innovativo offre nella lotta contro neoplasie aggressive come il carcinoma a cellule di Merkel.

Il principale vantaggio di Avelumab

Dottore, Avelumab è un inibitore di PD-L1 utilizzato in diverse neoplasie. Quali sono i suoi principali meccanismi d’azione e quali vantaggi offre rispetto ad altri inibitori del checkpoint immunitario, come gli anti-PD-1?

“Il meccanismo d’azione di Avelumab è similare ma differente rispetto ad altri inibitori del checkpoint immunitario. Avelumab interagisce con il PD-L1, cioè il ligando del PD, andando ad agire direttamente sulla molecola espressa dalla cellula tumorale. Al contrario, gli anti-PD-1 come nivolumab e pembrolizumab si legano al recettore PD-1 che si trova sul linfocita. Questa è la principale diversità tra i due approcci. Entrambi hanno come obiettivo finale l’interruzione dell’interazione PD-1/PD-L1, ma agiscono su due direzioni opposte: Avelumab colpisce la parte legata al tumore bloccando PD-L1, mentre gli altri farmaci citati agiscono sul sistema immunitario bloccando PD-1 sul linfocita. Questa differenza nel target molecolare può influenzare l’efficacia in diversi tipi di tumori e potenzialmente il profilo degli effetti collaterali”.

Possibili effetti collaterali

Dal punto di vista clinico, quali sono gli effetti collaterali più comuni associati all’uso di avelumab e come vengono gestiti nei pazienti oncologici?

“Quando si utilizzano farmaci immunitari come Avelumab o altri della stessa categoria, gli effetti collaterali possono essere simili, pur presentando alcune diversità a seconda della patologia e del farmaco specifico. Possiamo distinguere prima gli effetti collaterali più blandi che includono manifestazioni cutanee, astenia, fatica, dolori muscoloscheletrici, talvolta prurito, diarrea e nausea, ma generalmente questi sono molto contenuti e non necessitano di grandi interventi da parte dell’oncologo e dell’équipe”.

“Ci sono poi delle reazioni propriamente immunologiche e molto più dirette, che vengono classificate in gradi differenti, dal grado 1 fino al grado 4, di gravità crescente. Queste, quando raggiungono un grado 2 o 3, diventano clinicamente rilevanti. Mi riferisco fondamentalmente a polmoniti, epatiti, coliti, endocrinopatie legate in particolare alla tiroide con ipotiroidismo, fino ad arrivare a problematiche renali come le nefriti. Naturalmente il comportamento terapeutico varia in base al grado: se sono reazioni di grado 1, la problematica rimane contenuta. Se invece abbiamo una reazione di grado 4, sappiamo che dobbiamo assolutamente interrompere definitivamente il farmaco. È importante sottolineare che nell’esperienza clinica, sia negli studi che nella pratica reale, le reazioni di grado 3 o 4 in questo contesto sono comunque rare”.

Come Avelumab ha cambiato la cura del carcinoma a cellule di Merkel

Il carcinoma a cellule di Merkel è un tumore raro ma altamente aggressivo. Qual è stato l’impatto dell’introduzione di avelumab nel trattamento di questa neoplasia metastatica e quali risultati ha dimostrato negli studi clinici?

“Prima dell’introduzione dell’immunoterapia – e in particolare di avelumab, il primo farmaco approvato per il trattamento del carcinoma metastatico di Merkel – l’unica opzione terapeutica disponibile era rappresentata dalla chemioterapia. I risultati, tuttavia, erano estremamente deludenti: le risposte erano spesso transitorie e, nella maggior parte dei casi, i pazienti con malattia metastatica andavano incontro al decesso in tempi relativamente brevi”.

“Lo studio JAVELIN Merkel 200 ha segnato una svolta nella gestione di questa rara neoplasia. Si trattava di uno studio di fase II, a singolo braccio e in aperto, che ha coinvolto 88 pazienti affetti da carcinoma di Merkel metastatico già sottoposti ad almeno una linea di chemioterapia. Nonostante si trattasse di una coorte limitata – ma significativa per una patologia così rara – i risultati sono stati sorprendenti: il 33% dei pazienti ha ottenuto una risposta obiettiva (completa o parziale) al trattamento con avelumab”.

“Ancora più rilevante è stato il dato sulla durata della risposta: circa il 45% dei pazienti rispondenti manteneva il beneficio a 12 mesi, un risultato impensabile fino a pochi anni prima. Questi dati hanno aperto la strada a una rapida approvazione del farmaco e rappresentano un punto di svolta epocale nella cura di una malattia rara, ma altamente aggressiva e invalidante”.

Il tema dei biomarcatori

Avelumab è stato il primo trattamento approvato per questa patologia. Esistono biomarcatori predittivi di risposta alla terapia con avelumab nel carcinoma a cellule di Merkel, oppure il trattamento è rivolto a tutti i pazienti indipendentemente dal profilo molecolare?

“Quando si affronta il tema dei biomarcatori nei congressi, spesso emerge un sorriso tra gli oncologi: è una delle domande ricorrenti e, al tempo stesso, una delle grandi sfide della ricerca. In ogni consenso, ci si interroga su come poter prevedere – prima di iniziare una terapia – quali pazienti risponderanno meglio ai trattamenti. Trovare una risposta a questa domanda rappresenta uno degli obiettivi più ambiziosi della ricerca oncologica a livello globale: capire a chi somministrare un farmaco, quando farlo e come personalizzare la terapia”.

Al momento, però, questa risposta non ce l’abbiamo ancora. Nonostante i grandi progressi, non disponiamo di biomarcatori predittivi affidabili che ci consentano di selezionare in modo preciso i pazienti più adatti all’immunoterapia con avelumab”.

“Tuttavia, va sottolineato che il farmaco avelumab, nel trattamento del carcinoma di Merkel avanzato, inoperabile o metastatico, non prevede restrizioni specifiche legate a profili biologici particolari. Questo significa che può essere somministrato a tutti i pazienti che presentano le caratteristiche cliniche della malattia in fase avanzata, offrendo loro la possibilità di beneficiare del trattamento indipendentemente dalla presenza di biomarcatori specifici”.

Il commento finale dell’esperto

Vuole aggiungere altro?

“Un messaggio importante che mi sento di condividere è che il trattamento del carcinoma di Merkel, essendo una patologia rara, dovrebbe idealmente essere gestito in centri ad alta specializzazione, come le Skin Cancer Unit, dove opera un’équipe multidisciplinare con esperienza specifica nella presa in carico di questi pazienti. La gestione in un contesto altamente qualificato consente non solo di ottimizzare la terapia, ma anche di affrontare con prontezza eventuali complicanze”.

“A questo proposito, vale la pena ricordare che, come per tutti i farmaci immunoterapici, anche avelumab può essere associato a effetti collaterali rari ma potenzialmente seri, come uveiti, miopatie infiammatorie, sindrome di Guillain-Barré o miocarditi. Fortunatamente, si tratta di eventi estremamente poco frequenti, ma è fondamentale che il team curante sia preparato a riconoscerli e gestirli tempestivamente”.

In conclusione, siamo di fronte a una terapia innovativa che ha cambiato la storia clinica di un tumore raro e aggressivo, offrendo nuove prospettive terapeutiche con una tollerabilità generalmente molto buona. L’esperienza maturata nel mondo reale ha confermato questi risultati, permettendoci di estendere il beneficio a un numero sempre maggiore di pazienti”.

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