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I bambini e la guerra in Ucraina

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Il racconto di Raffaele Arigliani, Pediatra e membro delegazione MEAN, del suo recente viaggio in Ucraina

“Come membro della delegazione MEAN (Movimento europeo azione non violenta: link sito web) sono stato in Ucraina, in un percorso di ascolto teso a comprendere i bisogni di un popolo che vive sotto le bombe e conta ogni giorno i suoi figli uccisi. Sono un Pediatra. Anche mentre ero lì il telefono squillava: le mamme dei miei pazienti italiani mi inseguivano per avere dei consigli sulla salute dei loro bimbi. La tosse che non va via, la convulsione legata al rapido rialzo della febbre, la positività al Covid, ecc.… Spesso le loro voci tremavano, l’ansia era evidente”.

“Mentre rispondevo ad alcune di queste telefonate ho sentito per la prima volta le sirene dell’allarme. Quando suonano non vi è tempo da perdere, bisogna andare nei rifugi. Hanno un suono cupo, penetrante, quasi un urlo sottile. Sono un pugno allo stomaco, tolgono ogni voglia di sorridere, descrivono la totale impotenza, silenziano tutto, il mondo diventa la cantina dove sei costretto a chiuderti, non sai per quanto. Rimane solo la preghiera, per chi crede, per tutti una solidarietà senza misura con chi ti è affianco tra quelle mura. Dentro cresce la paura, il buio, il dolore, ma anche la rabbia e la voglia ‘di fare qualcosa’ perché abbia fine. 
Non vi è niente in comune con le scene viste centinaia di volte nella finzione del cinema. E’ un’altra faccenda. Tutto di te entra in gioco”.

Le conseguenze psicologiche della guerra

“Davanti agli occhi ho immaginato vivessero quei momenti le mamme, i papà, che incontro quotidianamente e mi stavano telefonando, di quanto grande sarebbe stata la loro angoscia. Come una marea montante mi ha invaso il pensiero di quale sia stato il trauma dei milioni di piccoli e di adolescenti che in questi mesi hanno vissuto con nei timpani le bombe e negli occhi la distruzione. Se quelle sirene, in pochi giorni, hanno lasciato in me una traccia così profonda, quanto hanno segnato e traumatizzato i bimbi che stanno vivendo da mesi in uno scenario di guerra, assistendo a distruzione e morte, sperimentando per tanto tempo paura, disperazione, orrore intenso?”.

“Anche se non avranno avuto ferite fisiche, quelle psicologiche non è scontato guariscano. Sarà in ragione dell’entità e della durata dell’esposizione, della diversa capacità soggettiva di sopportare e reagire allo stress (resilienza), della possibilità di elaborare ciò che è avvenuto, del sostegno avuto dalla famiglia e dal contesto. Lo stress acuto determina conseguenze psicologiche molteplici, nell’immediato e a distanza di tempo, variabili da persona a persona. Nella fase immediata si possono avere reazioni di freezing (incapacità a muoversi e/o parlare) o all’opposto di fuga irragionevole, insieme a risposte ‘automatiche’ quali tachicardia, aumento del cortisolo, sudorazione profusa, ecc.. A questi sintomi non di rado si accompagnano, pur se il pericolo è oramai passato, altri molto disturbanti: insonnia, flashback della situazione vissuta, reazioni incontrollate a stimoli (olfattivi, visivi, uditivi, ecc…) che evochino l’evento, iperagitazione, non controllo degli sfinteri, chiusura in se stessi, aggressività, apatia, isteria, ecc…”.

Disturbo da Stress Post-Traumatico

“Quando la sintomatologia persiste in maniera significativa per più di tre mesi, si parla di ‘Disturbo da Stress Post-Traumatico (PTDS)’. Questa patologia può accompagnare tutta la vita e determinare gravi difficoltà d’inserimento sociale, uso di alcool, droghe, suicidi. La guerra non termina quindi quando le bombe hanno smesso di cadere e neppure quando gli invasori sono andati via. Persiste nella mente e nel cuore di chi l’ha vissuta e non di rado porta avanti la sua scia di dolore per generazioni”.

“I bambini Ucraini sono stati esposti alle ‘radiazioni’ psicologiche della guerra, da cui potrebbero disintossicarsi almeno in parte vivendo in un ambiente accogliente, giocoso, allegro, lontano dalle bombe, dove poter fare il loro lavoro: giocare! Perché non provare a ripetere quella storica esperienza che fu l’accoglienza temporanea (uno-tre mesi), dei bimbi di Cernobyl? Sarebbe un contesto “di vacanza” che potrebbe facilitare lo sciogliersi del trauma, un piccolo aiuto per restituire, per quanto possibile, ai bimbi ucraini la loro infanzia e la serenità per gli anni futuri” .

Raffaele Arigliani. 

raffaelearigliani@gmail.com

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