Secondo appuntamento con ‘Conoscere l’Oncologia’, il format dedicato agli approfondimenti oncologici. Questa volta insieme al Dott. Andrea Pietro Sponghini – Responsabile degenza della S.C.D.U. di Oncologia presso l’A.O.U. ‘Maggiore della Carità’ di Novara trattiamo di Counselling in Oncologia
‘Conoscere l’Oncologia’ è il nuovo format di Italian Medical News dedicato agli approfondimenti oncologici. Per farlo, intervisteremo diversi specialisti provenienti da tutta Italia, trattando numerosi temi riguardanti l’oncologia. Il tema affrontato in questo appuntamento è il Counselling in Oncologia ed è per questo che Italian Medical News ha intervistato il Dott. Andrea Pietro Sponghini – Responsabile degenza della S.C.D.U. di Oncologia presso l’Azienda Ospedaliera Universitaria ‘Maggiore della Carità’ di Novara. L’esperto Dottore ha risposto in maniera chiara ed esaustiva ad una serie di quesiti posti.
Dottore, prima di entrare nel dettaglio oncologico, può dirci cosa indica il termine counseling?
“Il conuselling è una metodica che nasce in America da un noto psicologo di nome Carl Rogers intorno agli anni ’70. Si tratta di un processo di apprendimento interattivo fra il counselor e il cliente: parlo di cliente perché il counselling si usa in tanti ambienti, non solo in ambito medico. Parliamo di uno strumento che serve per affrontare problematiche di vario genere: sociali, economiche, emotive e naturalmente anche mediche”.
“A differenza di un percorso psicologico, il counselling prevede un periodo più ristretto che va dagli 8 ai 12 incontri. Parliamo dunque di un percorso ben circoscritto, appunto perché non è una psicoterapia. A livello sanitario
e ospedaliero sono tante le tipologie di counselling, e tra i diversi tipi c’è quello in oncologia. Nel paziente oncologico è fondamentale in una discussione relativa alle difficoltà delle terapie ma anche all’eventuale accompagnamento alla morte”.
“Ma allora qual è il motivo fondamentale del counselling? È quello di migliorare la situazione del paziente adattandolo alle risorse; in altri termini, deve essere un rapporto che punti a far migliorare la qualità di vita di un paziente. Il mezzo principale del counselling è il colloquio, il quale deve essere empatico, attivo, utilizzando sia il linguaggio verbale che quello non verbale, attraverso giusti atteggiamenti. L’attenzione si spinge naturalmente sulla persona in questione, ma in particolare anche sulle risorse, più che sulla malattia. Deve essere uno strumento per offrire al paziente la consapevolezza di affrontare un certo tipo di processo”.
La cura dell’uomo
Quanto è importante un buon counselling per il benessere psicologico,
eventualmente anche psicofisico, del paziente oncologico?
“È importantissimo perché parliamo di persone che, in momenti magari di benessere della propria vita, si trovano a combattere con una patologia grave come quella oncologica, a seconda dei vari livelli e gradi della malattia. È chiaro che il poter affrontare, condividere ed essere al centro di un processo non solo strettamente medico ma anche umano, è fondamentale”.
“Tu puoi curare la malattia ma è altrettanto importante curare l’uomo. Il paziente può ricevere anche la terapia migliore, ma se si sente abbandonato e incompreso diventa più difficile superare la patologia. Il counselling diventa quindi uno strumento molto importante”.
Quali sono le situazioni problematiche e psicologiche che avvicinano i pazienti oncologici, e i loro familiari anche, al counselling?
“Bisogna cercare di comprendere che il cancro invade indubbiamente il paziente in primis, ma anche le famiglie poiché sono il contorno vivente di chi è affetto da una patologia importante come quella oncologica. È chiaro che se parliamo di cancro, parliamo di tante situazioni diverse. Non bisogna pensare che solo il paziente che presenta uno stadio più grave di una malattia abbia bisogno del counselling. Anche un paziente giovane, magari una giovane donna che ha appena conosciuto la malattia, ha molto bisogno di aiuto, di comprensione, di consapevolezza. È evidente che più il caso è grave più la richiesta di aiuto aumenta”.
“Spesso gli strumenti mancano agli operatori”
Quanto è difficile per il professionista attuare una corretta relazione di counselling con il paziente, soprattutto per quanto riguarda i casi i più delicati?
“Penso che esistano delle figure mediche, dei professionisti, che per inclinazione e per carattere empatico siano predisposti ad attuare un counselling spontaneo, vero. In ogni caso è un qualcosa di importantissimo perché il paziente è una persona nella sua interezza e anche nel suo contorno. Ovviamente non è facile poiché spesso gli strumenti mancano agli stessi operatori; magari perché non sono stati trasmessi. Ma possono mancare anche le strutture al fianco del professionista affinché si concretizzi questo tipo di attività. Il nostro Paese è grande, i centri sono tantissimi; alcuni sono di eccellenza e quindi attenti sia alla parte strettamente medica sia quella comunicativa e di aiuto psicologico”.
“Purtroppo però non è cosi in tutta Italia: io spesso, girando, mi confronto e noto delle realtà ancora molto indietro; magari non per mera volontà ma per vera difficoltà. In definitiva è difficile molte volte realizzare un buon counselling proprio perché la struttura dove si lavora non presenta mezzi adeguati. Ricordiamoci pure che in molti centri, per via di problemi noti come affollamento di pazienti o liste di attesa molto lunghe, lo spazio relazionale è spesso messo in crisi da tempistiche insufficienti”.
“Ai pazienti suggerisco il cercare di esprimersi”
Che suggerimento si sente di dare ai pazienti oncologici e perché no anche ai colleghi più giovani e meno esperti, in tema di counselling?
“Ai colleghi e ai pazienti sono due messaggi vicini e differenti. Noi specialisti lavoriamo e siamo a disposizione dei nostri pazienti nel rispetto dei tempi. Nel mondo oncologico palliativista l’ascolto e l’attenzione per la cura umana e non solo della terapia, sono fondamentali. L’uomo che vive il cancro vive una crisi molto difficile. Ai pazienti suggerisco il cercare di esprimersi e di chiedere aiuti concreti che esistono, anche in termini di counselling. Aiuti che, anche se non sono disponibili in tutti i centri si possono trovare e devono essere ricercati dai pazienti stessi. Questo vale per qualsiasi fase della malattia. Per quanto riguarda i professionisti più giovani penso che l’università dovrebbe favorire la preparazione e il senso della comprensione ai colleghi”.
“Voglio ribadire un concetto: l’uomo non è solo una malattia, ma è una persona con una malattia. I tecnicismi, le scoperte mediche, che sono sempre più avanzate, per fortuna, devono essere sempre accompagnate alla componente umana. Non è una cosa così scontata e chi non comprende questo è perché forse non si è mai trovato dall’altra parte”.
Vuole aggiungere qualcos’altro?
“Penso che, grazie anche a interviste come questa, stiamo andando verso una direzione di sensibilizzazione. Occasioni come queste sono fondamentali per far capire che c’è molto di più della mera cura medica e c’è la possibilità di aiutarsi. Ricordiamoci infine che il messaggio di aiuto e di counselling esiste anche verso il medico, oltre che verso il paziente. Anche il medico ha molte difficoltà che quotidianamente affronta nella cura e quindi anche lui ha bisogno di essere inserito in un sistema di protezione psicologico. Perché anche il medico, durante l’intensità del suo lavoro, ha indubbiamente momenti di crisi”.
L’intervista è stata elaborata con il contributo di
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