Un nuovo studio propone un particolare metodo di diagnosi che può predire la sopravvivenza del paziente
Attualmente non esiste ancora un trattamento efficace per il glioblastoma, ma una nuova ricerca propone un approccio innovativo alla diagnosi in grado di predire la sopravvivenza del paziente. Secondo gli studiosi provenienti dalle università di Padova, Berlino e Bordeaux, insieme all’Istituto Oncologico Veneto (IOV) di Padova, la chiave risiede nella localizzazione del tumore. Se la neoplasia si forma in regioni cerebrali ad alta densità di fibre, si associa a una sopravvivenza più breve dal momento della diagnosi. Al contrario, quando il glioblastoma si sviluppa in zone a bassa densità di fibre cerebrali, la prognosi è più favorevole.
Oltre ai neuroni, nel cervello si trova il connettoma, ovvero l’insieme delle fibre che collegano le varie aree cerebrali. Lo studio dimostra che la prognosi dipende dalla densità di connessioni strutturali nell’area di sviluppo del cancro. Lo studio, pubblicato su Jama Neurology, è stato coordinato da Maurizio Corbetta, docente di Neurologia presso l’Università di Padova. Con la collaborazione di Alessandro Salvalaggio e di Lorenzo Pini, il Prof. Corbetta ha messo a punto un sistema in grado di calcolare – come da lui spiegato – “un indice di densità delle fibre di sostanza bianca dove cresce il tumore senza necessità di esami specifici, ma soltanto partendo dalla risonanza magnetica cerebrale che tutti i pazienti eseguono prima dell’intervento chirurgico”
“Il motivo – ipotizzano gli autori dello studio – può consistere nel fatto che quando il tumore cresce in regioni in cui ci sono più fibre, ovvero più strade, ha maggior probabilità di diffondersi alle restanti regioni del cervello”. In ogni caso, il Prof. Corbetta espone la propria soddisfazione per quanto fatto. “I risultati di questo studio – commenta l’esperto – dimostrano come l’approccio al glioblastoma non possa non considerare lo speciale organo nel quale cresce, il cervello umano. Le evidenze emerse da questa ricerca, oltre ad aver portato alla creazione di un indice diagnostico non invasivo, forniscono possibili spunti e indicazioni per nuovi approcci terapeutici“.
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