I conflitti in atto degli ultimi tempi stanno rivoluzionando in negativo il concetto di salute in Europa. Abbiamo approfondito il tema con un’esperta in materia, la Dott.ssa Matilde Leonardi
La connessione tra disabilità e salute in periodi di guerra è un tema complesso che mette in luce sfide uniche e impatti profondi sulla popolazione coinvolta. La guerra, con la sua brutalità e le conseguenze devastanti, provoca un aumento significativo della disabilità tra civili e combattenti. Questa realtà presenta un intricato panorama di problemi che vanno oltre la semplice menomazione fisica, coinvolgendo aspetti psicologici, sociali ed economici. Nel contesto europeo, la percezione della guerra come un fenomeno distante è stata scossa negli ultimi anni, portando a una riconsiderazione degli approcci medici e politici nei confronti della salute in situazioni di conflitto.
Per saperne di più Italian Medical News ha di recente intervistato la Dottoressa Matilde Leonardi, una figura di spicco nel campo della neurologia e pediatria in Italia. Attualmente Direttrice di Neurologia presso l’Unità di Sanità Pubblica, Disabilità e Centro di Ricerca Coma dell’Istituto Neurologico Carlo Besta di Milano, la Dottoressa Leonardi è riconosciuta a livello internazionale come FEAN (Fellow of the European Academy of Neurology) e consulente esperto dell‘OMS in neurologia, disabilità, invecchiamento e sviluppo delle politiche. Co-presidente del gruppo del Forum OMS NeuroCOVID sui servizi neurologici essenziali per i recuperatori COVID-19 e membro del Presidio della Federazione Mondiale di Neuroriabilitazione, la Dottoressa Leonardi condivide la sua prospettiva su come gli eventi bellici e la disabilità impattino sulla salute, offrendo un’illuminante analisi in un contesto europeo in rapida evoluzione.
Il terribile cambiamento degli ultimi anni
Dottoressa, qual è la sua opinione sull’insorgere dei conflitti in una regione come l’Europa, che per lungo tempo non aveva sperimentato simili problematiche belliche?
“Siamo in Europa, e fino a quattro anni fa, il concetto di guerra evocava principalmente la Bosnia, l’ultimo scenario bellico per noi europei. In quel periodo, ci consideravamo al di fuori di tale realtà, percependo la guerra come un tema coinvolgente paesi più lontani. Tuttavia, tutto è mutato negli ultimi anni. Anche noi medici affrontavamo la questione in modo diverso; personalmente, mi occupavo sia del punto di vista di coloro che, a causa della guerra, diventano disabili, sia delle implicazioni belliche per coloro che già presentano disabilità. Tutto rientrava nel contesto delle emergenze. La guerra, fino a pochi anni fa rappresentava per noi un argomento d’analisi da parte degli esperti, ma che non ci coinvolgeva direttamente“.
“Purtroppo, negli ultimi quattro anni, tutto è cambiato qui in Europa. Recentemente sono tornata dal Kazakistan, dove abbiamo condotto una riunione della Regione Europea per discutere delle linee guida della Primary Health Care. Era un incontro programmato da tre anni. Mai avremmo immaginato che all’interno della Regione Europea ci saremmo trovati nella zona con il maggior numero di conflitti bellici protagonisti del ragionamento sulla salute della popolazione europea.”
I tre conflitti in atto
Qual è la sua valutazione delle connessioni tra i conflitti attuali in Europa e l’impatto sulla salute pubblica’
“Attualmente, affrontiamo tre conflitti: il primo riguarda l’aggressione della Russia sull’Ucraina nel 2022. Il secondo è il significativo conflitto tra Azerbaijan e Armenia, che, sebbene non sia ampiamente discusso, è riconosciuto come una questione nella regione europea dell’OMS. Il terzo conflitto è scaturito dall’attacco terroristico di Hamas il 7 ottobre, che sta diventando una tragedia. Questa tragedia si svolge in un contesto in cui il 48% della popolazione è composto da persone sotto i 18 anni, colpendo statisticamente in modo drammatico i bambini. Parlare di guerra in relazione alla salute non era prassi in Europa dal periodo della Seconda Guerra Mondiale. Mai ci saremmo aspettati di dover cambiare la nostra prospettiva sui determinanti della salute, inserendo la pace come fattore chiave“.
“La connessione tra guerra e salute non era contemplata tre anni fa, quando è stato pianificato questo convegno regionale sulle nuove direzioni della salute in Europa. Non avremmo mai immaginato che nelle conclusioni sarebbe stato essenziale introdurre la pace come determinante di salute per la regione europea, poiché la mancanza di pace sta provocando un netto peggioramento delle condizioni di salute, non solo per le persone direttamente coinvolte nei conflitti. Sta avvenendo un cambiamento enorme, al quale non possiamo rimanere indifferenti, sia come individui che come professionisti della salute e politici”.
“Il sangue non ha colore, e i medici intervengono su tutti”
In termini concreti cosa possono fare gli operatori sanitari per provare a limitare i danni?
“Posso condividere la mia esperienza personale riguardo alla collaborazione attuale con l’Ucraina. Ero consulente del governo ucraino prima dell’inizio della guerra, focalizzandomi sulla chiusura degli Istituti Internat, le strutture che ospitano persone con disabilità. Già all’epoca ero coinvolto nei dibattiti sulla disabilità in Ucraina. Ovviamente, con l’inizio della guerra, la prospettiva è cambiata. La mia presenza mi ha permesso di osservare alcuni fenomeni significativi. Uno di questo è che la guerra ha drasticamente aumentato il livello di disabilità nella popolazione. Posso affermare che in Ucraina si è verificato un aumento delle disabilità non solo tra i combattenti, ma anche tra i civili“.
“Cosa possiamo fare noi come medici? Il sangue non ha colore, e i medici intervengono su tutti. Nel mio campo, la riabilitazione e la neuro-riabilitazione, ritengo che la disabilità non debba essere vista solo come una menomazione fisica, ma anche come un problema contestuale. Affrontare questa sfida richiede un impegno esteso con numerosi stakeholder, non solo medici, ma anche del mondo del lavoro, dell’istruzione, dei servizi sociali, eccetera. Quindi, come medici, dobbiamo operare su tutti i fronti. In definitiva, un medico che si trova a lavorare in contesti di conflitto non deve mai smettere di arrendersi e di fare il proprio lavoro e non deve mai concentrarsi esclusivamente su un determinato gruppo. È fondamentale prendersi cura di tutti.”
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