Un nuovo studio ha messo in luce le diverse dinamiche neuronali alla base dei più comuni sintomi del Parkinson: tremore, rigidità e bradicinesia
La bradicinesia e la rigidità muscolare, sintomi distintivi della malattia di Parkinson, hanno dimostrato seguire percorsi evolutivi indipendenti e di rispondere in modo diversificato ai trattamenti nel corso del tempo. Questa nuova scoperta è il frutto della ricerca condotta dai ricercatori dell’I.R.C.C.S. Neuromed di Pozzilli (Isernia), dell’Università Sapienza di Roma e dell’Università di Grenoble, in collaborazione con altri esperti provenienti da istituzioni scientifiche italiane e internazionali. Prima di questo studio, si pensava comunemente che bradicinesia e rigidità fossero interconnesse nella progressione della malattia, al contrario del tremore.
La ricerca, pubblicata sulla prestigiosa rivista scientifica Annals of Neurology, ha esaminato i dati clinici di 301 pazienti affetti da malattia di Parkinson trattati con stimolazione cerebrale profonda (Deep Brain Stimulation – DBS) e seguiti per quindici anni. Questo approccio terapeutico prevede l’impianto di elettrodi nel cervello per regolare il funzionamento dei circuiti nervosi attraverso impulsi elettrici, con l’obiettivo di migliorare i sintomi tipici della malattia di Parkinson. Potremmo definirlo come un ‘pacemaker’ per il sistema nervoso. Sebbene l’efficacia di questa terapia nel migliorare i sintomi motori del Parkinson sia ampiamente riconosciuta, fino ad ora la comprensione di come i diversi sintomi rispondano al trattamento nel lungo termine è stata limitata.
Le parole degli autori
“Con il nostro studio – afferma il professor Antonio Suppa, coordinatore della ricerca – abbiamo scoperto che la bradicinesia e la rigidità, pur essendo entrambi sintomi motori, mostrano evoluzioni cliniche differenti dopo l’intervento di stimolazione cerebrale profonda. Questo ci fa pensare che i meccanismi alla base della bradicinesia e della rigidità possano essere diversi tra loro, un dato che apre la strada ad una nuova interpretazione dei meccanismi neuronali implicati nella malattia di Parkinson”.
“La ricerca – conclude il dottor Alessandro Zampogna, primo autore dello studio – indica che una personalizzazione del trattamento, adattandolo alle caratteristiche del singolo paziente, potrebbe migliorare significativamente la qualità della vita dei malati. Per questo motivo le prossime ricerche punteranno proprio ad approfondire le modalità di stimolazione cerebrale profonda e, soprattutto, ad esplorare come le variazioni nei parametri di stimolazione possano influenzare diversamente i sintomi cardine della malattia”.
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