Il racconto del pediatra siciliano: in prima linea nell’affrontare l’emergenza immigrazione
C’è un principio e spesso viene dimenticato, o meglio, viene interpretato in una maniera non del tutto corretta, specie in tema di immigrazione. L’articolo 32 della Costituzione che prevede “il diritto alla salute di ogni individuo quale pilastro fondamentale del Paese”.
“E la parola individuo – così inizia il dottore Giuseppe Nipitella, dirigente medico territoriale dell’ASP di Siracusa – non è messa lì per puro caso. Non si parla di cittadino ma di chiunque entri in contatto con nostro territorio. E per questo, dal punto di vista sanitario, dobbiamo curare tutti nel modo migliore possibile”.
Un incipit importante. Il dottore Nipitella, nella sua esperienza, ne ha viste tante di persone che sono arrivate sulle coste siciliane dopo viaggi lunghi mesi. Traversate con l’obiettivo di trovare la nuova fortuna, cosa che non riguardava tutti, purtroppo. Nel corso degli anni, partendo dal 2013 col problema dei siriani, ha affrontato storie e percorsi di ogni persona che ha messo piede sul suolo italiano, affrontando ogni singola problematica. Numeri che sono andati via via crescendo: dal migliaio a settimana fino ad arrivare agli ultimi due anni con cifre che sono diminuite, specie dopo il Decreto Salvini.
Nipitella: “All’epoca c’era il Prefetto Gradone che ha saputo affrontare la questione immigrazione con brillantezza”
“I numeri sono cresciuti nel corso degli anni fino a sfondare la cifra dei 180mila. Erano gli anni dei siriani e dei morti di Lampedusa. Quelli nei quali cominciarono le operazioni del Governo Italiano con grandi sbarchi ad Augusta. Più del 70% di questi riguardava la Sicilia e la maggior parte proprio Augusta. Ricordo che nel 2013 c’era il Prefetto Gradone, una persone veramente illuminata che seppe gestire la situazione al meglio”.
Il Prefetto irpino ebbe l’idea di mettere in piedi un tavolo tecnico e convocò l’ASP.
“A questo tavolo – continua il dottor Nipitella – partecipai come pediatra. Subito instituii un ambulatorio pediatrico al quale venivano assegnati i figli degli immigrati ai quali era associato un codice STP, attraverso il quale potevano usufruire della prescrizione dei farmaci. Il Prefetto Gradone ebbe anche l’intuizione di coinvolgere Emergency. In tutto riuscimmo a mettere in piedi undici centri di accoglienza per 700 persone. All’interno collaboravo con medici di guardia medica e molto volontari. Fondamentalmente abbiamo portato avanti la stessa attività che svolge il pediatra di famiglia. Tutti erano dislocati nei centri e divisi per tipologie: famiglie, minori non accompagnati e donne con problemi”.
Tante sono state le patologie affrontate, sia da un punto di vista fisico che mentale
Dal punto di vista fisico, le patologie individuate sono state tante. Scabbia, infezioni della pelle, tubercolosi, Aids e malaria, tutte affrontate nel modo più professionale possibile, senza fare alcuna distinzione. Un capitolo e discorso a parte meritano le donne. Violenze prima di partire e durante il viaggio.
“La patologia più frequente era quella che il dottor Bartolo definì la “patologia dei gommoni”, ustioni da benzina. Si manifestavano stando seduti per tanto tempo in un misto di acqua e benzina. Ustioni con pelle che si staccava dal corpo a lembi”.
Di pari passo, ma con un impatto devastante, c’era il disturbo post traumatico. E dal corpo ci si sposta sulla mente. Un residuo figlio di viaggi che spesso duravano mesi e che, con essi, portavano un carico di maltrattamenti, violenze psicologiche, al limite dell’annichilimento umano. Tanti fattori che potevano incidere sulla testa dell’immigrato.
“I giovani partivano in buona salute fisica. In loro residuava lo stress che, in più di una circostanza, si legava all’arrivo in Italia e alla non realizzazione del sogno. C’era chi si adattava bene, altri, invece, avevano una serie di difficoltà legate alla lingua, cultura e all’affrontare una situazione diversa. Le loro criticità si traducevano nelle nostre difficoltà nell’affrontare le questioni sanitarie”.
La questione immigrazione, nonostante il Covid, è sotto controllo in Sicilia anche se esiste una certa resistenza sui vaccini
Situazioni delicate da affrontare con decisioni. Come detto, negli ultimi due anni si parla di numeri in calo, ma gli ultimi due anni sono stati all’insegna della novità che ha cambiato il mondo: il covid.
“Ci siamo sempre messi in testa – chiude il dottor Nipitella – di dover dare un servizio che non doveva essere diverso da quello fornito agli italiani. Nessuna differenza o forma di favoritismo. Portiamo avanti sedute di vaccinazioni nell’hub e l’unica difficoltà da affrontare è convincere quelli che non vogliono farlo.. devono capire che vivono in una comunità. La situazione, comunque, è sotto controllo. C’è solo una cosa che mi disturba: l’operatore sanitario che non si vaccina, viene allontanato, l’immigrato che non vuole vaccinarsi, resta nel centro a contatto con gli altri. Una cosa che non mi piace e alla quale non so dare spiegazione”.
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