Secondo Anna Maria Giannini, professoressa ordinaria di Psicologia Giuridica e Forense presso l’Università di Roma ‘Sapienza’, i contesti difficili e il culto delle armi sono ‘bombe a orologeria’
1999, Columbine High School: 13 morti. 2012, Sandy Hook Elementary School: 27 morti. 2018, Marjory Stoneman Douglas High School: 17 morti. Questi, sono solo alcuni degli episodi di massacri scolastici più sanguinosi avvenuti negli Stati Uniti d’America nell’ultimo ventennio. Ma l’ultimo di questi, risale a pochi giorni fa, precisamente il 24 Maggio. Quel Martedì il diciottenne Salvador Rolando Ramos fa irruzione armato nella Robb Elementary School di Uvalde, in Texas, e uccide a sangue freddo 19 alunni e 2 insegnanti, prima di essere ucciso dalla polizia locale.
L’elemento in comune, inquietante, di queste vicende è la parola ‘school’, scuola appunto. Nonostante non siano solo le scuole i luoghi fisici che fanno da contesto a queste stragi è lampante ed evidente che nella maggior parte dei casi siano gli edifici scolastici, e chi vi è dentro, ad essere presi di mira. Ma perché proprio le scuole? E soprattutto cosa scatta nella mente degli assassini? Proviamo a capirlo attraverso le parole di Anna Maria Giannini, professoressa di Psicologia Giuridica e Forense presso la ‘Sapienza’ di Roma, intervistata da Sanità Informazione.
L’identikit psicologico
Una delle domande che ci si pone in questi casi è se sia possibile tracciare un identikit psicologico di chi commette queste stragi. “Non è semplice, anche solo per il fatto che le informazioni in nostro possesso provengono dagli organi di stampa” – spiega Giannini. “Nonostante ciò, in questo caso, sappiamo che l’autore ha avuto un’infanzia e un’adolescenza difficile. Sappiamo che è stato bullizzato per una forma di balbuzie che lo affliggeva. Questo sicuramente ci dipinge un soggetto con un percorso di sviluppo complesso. Lui ha postato sui canali social le foto delle armi di cui si era dotato, e ricordiamo che in molti stati degli USA è facile, anche per una persona molto giovane, entrare in possesso di armi da fuoco. Inoltre, ha comunicato, sempre tramite social, che ‘sarebbe accaduto qualcosa’”.
“Viene inoltre descritto come un ragazzo che nell’ultimo periodo aveva manifestato una maggiore tendenza all’isolamento. Abbiamo dunque due elementi: un cambiamento caratteriale improvviso e una manifesta passione per le armi. Due fattori che non rendono automaticamente un soggetto capace di compiere una strage, ma sono comunque indicatori a cui prestare attenzione. L’adolescenza e la tarda adolescenza sono momenti di sviluppo di per sé complessi, e lo diventano maggiormente se la persona attraversa fasi di disagio, sia a livello personale che collettivo”. In questo senso, si pensi alla pandemia e agli effetti dell’isolamento e delle restrizioni sui soggetti psicologicamente più fragili.
Il perché delle scuole come bersaglio e l’impatto dell’accessibilità alle armi
L’esperta psicologa si espone poi anche in merito al perché delle scuole come frequenti luoghi di stragi. “La scuola è il luogo dove per antonomasia si raggruppano categorie di persone indifese ed è un contesto completamente avulso dalla violenza armata. Quindi è sicuramente un luogo dove l’assassino ha margine d’azione per colpire un numero alto di persone che sicuramente non avranno strumenti per difendersi. Inoltre, colpire la scuola ha anche un altro significato, simbolico: è il luogo dell’educazione, dell’innocenza, della crescita. Mettendoci nei panni dell’assassino, stroncare tutto questo sul nascere, distruggere anziché proteggere, è un atto eclatante con una forte valenza dimostrativa”.
Al termine dell’intervista, la professoressa della Sapienza, si concentra poi su uno dei temi di discussione tipici riguardanti gli Stati Uniti: la facilità nel reperire le armi. “L’accessibilità delle armi impatta tantissimo con l’effettivo compimento di questi fenomeni. Non è tanto l’accessibilità in se che causa il fenomeno, ma è chiaro che, in generale, nel momento in cui matura un qualsiasi proposito, avere a disposizione i mezzi materiali per realizzarlo ne rende molto più probabile l’effettivo compimento. Il possesso di un’arma deve sempre essere preceduto da un’attenta valutazione psicofisica di chi la deterrà. Negli USA queste valutazioni non sono affatto approfondite. Le armi sono accessibili, di fatto, a chiunque. Se mettiamo insieme tutti questi elementi, possiamo intuire – conclude Giannini – il perché negli USA episodi di questo genere siano così frequenti”.
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