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L’evoluzione del trattamento immunoterapico nel carcinoma uroteliale – Prof. Michele De Tursi

Tempo di lettura: 6 minuti

Approfondimento scientifico elaborato dal Prof. Michele De Tursi, Professore di Oncologia Medica presso l’Università “G. D’annunzio” di Chieti-Pescara

Di seguito riportiamo un approfondimento scientifico prodotto dal Prof. Michele De Tursi. In quest’articolo l’esperto tratta l’evoluzione del trattamento immunoterapico nel carcinoma uroteliale. Il focus rientra nell’ambito del progetto ‘Conoscere l’Oncologia’, il format di Italian Medical News dedicato agli approfondimenti oncologici.

1. Introduzione


L’immunoterapia ha rappresentato negli ultimi anni una vera e propria rivoluzione copernicana nel trattamento medico dei tumori solidi. Questo perché, per la prima volta, si è spostata l’attenzione dal tumore all’organismo che lo ospita. Infatti, mentre per la classica chemioterapia o per la moderna terapia biologica il fulcro dell’azione terapeutica è rappresentata dalla cellula tumorale, e dai meccanismi che ne possono in qualche modo bloccare la proliferazione, per l’immunoterapia la potenzialità terapeutica si sviluppa attraverso una riattivazione antagonista e difensiva del sistema immunitario dell’organismo contro il tumore. (1)

In realtà, l’idea che il sistema immunitario potesse giocare un ruolo di primo piano nella lotta al tumore è stata coltivata per decenni in tanta ricerca preclinica e clinica. Ma dopo anni di fallimentari tentativi volti a “potenziare” il sistema immunitario, affinché riconoscesse il tumore e lo combattesse direttamente, il punto di svolta è stato quello di riconoscere che il sistema immunitario non doveva essere potenziato, ma più semplicemente “sfrenato”, liberato da uno stimolo inibitorio che il tumore impara a sfruttare per bloccarne l’azione distruttiva. Più in dettaglio, il meccanismo biologico che sta alla base del controllo immunitario dei tumori è stato spiegato ormai da circa un decennio con il cosiddetto modello delle 3 E, per spiegare quel processo (definito Immunoediting) attraverso il quale il tumore riesce a sopprimere la risposta immunitaria (2).

Nella fase primordiale della nascita del tumore, il sistema immunitario riesce perfettamente a riconoscere e a distruggere la cellula neoplastica. Lo fa attraverso l’attivazione di cellule immunitarie effettrici (fase della Eliminazione); successivamente si viene a creare una situazione di stasi, in cui tumore e sistema immunitario riescono a bilanciarsi senza che l’uno prevalga sull’altro (fase dell’Equilibrio); infine, il tumore riesce ad evade al controllo del sistema immunitario e inizia la sua progressione clinica (fase di Escape).

Il punto cruciale in questa fase di escape è rappresentato dalla stimolazione, da parte della cellula tumorale, di freni inibitori della cellula immunitaria, come ad es. CTLA-4, ma anche PD-1, LAG3, ecc… Andare a bloccare farmacologicamente questi freni inibitori, come ad es. fa Ipilimumab con CTLA-4, impedisce al tumore di spegnere la risposta immunitaria (3). Questa idea, apparentemente semplice e intuitiva, ha portato J.P. Allison e T. Honio a vincere il premio Nobel per la medicina nel 2018, per la loro scoperta sul ruolo della inibizione della regolazione immunitaria negativa.

2. I trattamenti immunoterapici nel carcinoma uroteliale

Il primo campo di applicazione clinica di questa intuizione biologica è stato il melanoma metastatico. Si tratta di una patologia rapidamente mortale e fino ad allora sostanzialmente orfana di terapie. Nello studio Checkmate, pubblicato sul New England Journal of Medicine nel 2011, l’anti CTLA-4 Ipilimumab riusciva a migliorare i tassi di sopravvivenza della classica chemioterapia fino ad allora utilizzata, ma soprattutto lo studio dimostrava l’esistenza di un 20% circa dei pazienti che poteva giovare in maniera prolungata negli anni del controllo di malattia offerto dalla immunoterapia (4). 

Questa dimostrazione scientifica ha rappresentato la convalida di un presupposto biologico. Ha quindi aperto le porte ad un mondo di opportunità terapeutiche, con l’avvento di molecole diverse (come nivolumab, pembrolizumab, avelumab, durvalumab, ecc..), e che dal melanoma si è esteso a tutti i campi della cura dei tumori solidi, coinvolgendo i tumori polmonari, quelli renali, quelli dell’urotelio, ecc..

Per quanto riguarda i tumori vescicali, e più in generale i tumori dell’urotelio, la prima terapia ad essere approvata in questo setting di malattia è stato il Pembrolizumab. Infatti, lo studio Keynote 045, che metteva a confronto – in seconda linea di terapia per malattia metastatica – il pembrolizumab versus la classica chemioterapia, aveva dimostrato un vantaggio dell’immunoterapia rispetto alla chemioterapia, sia in termini di controllo della progressione sia in termini di sopravvivenza. Si trattava di un vantaggio minimo (circa 3 mesi), ma comunque clinicamente significativo rispetto agli scarsi risultati ottenuti dalla chemioterapia (5).

Sicuramente si trattava di un miglioramento ancora minimo e insoddisfacente. Ma comunque era la prova che anche nella malattia uroteliale l’immunoterapia poteva giocare un ruolo fondamentale. Il passaggio successivo, e profondamente incisivo nella storia clinica della malattia, è stato poi l’avvento di Avelumab in questa tipologia di pazienti.

A differenza però di pembrolizumab, che veniva utilizzato in seconda linea di malattia, quindi quando la malattia andava in progressione dopo un primo trattamento chemioterapico a base di platino, l’Avelumab è stato sperimentato in fase di “mantenimento”. Questo rappresenta un punto di volta fondamentale nella gestione clinica della malattia, perché si inserisce in un contesto clinico nuovo, quello cioè di una malattia sotto controllo chemioterapico.

Il trattamento con Avelumab, infatti, viene iniziato subito dopo 4-6 cicli di chemioterapia a base di platino, se la malattia non è in progressione; questo significa che si sfrutta il vantaggio di controllo della malattia offerto dalla chemioterapia, e prima ancora che il fenomeno della farmacoresistenza possa selezionare cloni cellulari resistenti e in progressione. Questo anticipo della immunoterapia ad una fase antecedente alla progressione di malattia, si traduce in un significativo e più lungo controllo della malattia metastatica. Lo studio Javelin Bladder 100, infatti, ha dimostrato un miglioramento mediano della sopravvivenza mediana di oltre 8 mesi rispetto al braccio di terapia che non faceva il mantenimento (6).

3. Conclusione

La cura dei tumori solidi ha trovato nella immunoterapia una nuova arma efficace e sostanzialmente ben tollerata. Si tratta di una opportunità terapeutica che si applica in maniera trasversale alle diverse patologie oncologiche, dal melanoma al carcinoma polmonare, dai tumori renali a quelli dell’urotelio. Molto c’è ancora da capire, soprattutto sui fenomeni di resistenza (sia primaria che acquisita) che ne inficiano l’attività terapeutica in una significativa percentuale di pazienti. Ma è indubbio che le potenzialità terapeutiche offerte dalla immunoterapia aprono uno spiraglio di cura per una gran parte delle patologie oncologiche, e soprattutto una cura di lunga durata.

Per quanto riguarda, nello specifico, i tumori uroteliali, tumori tradizionalmente molto resistenti ai trattamenti e dalle aspettative di vita molto brevi, l’avvento dei trattamenti immunoterapici ha messo in moto una strategia terapeutica che già dai suoi primi passi sembra promettere risultati incoraggianti. Sia pembrolizumab che avelumab hanno dimostrato di migliorare il controllo di malattia, in tutti i parametri presi in considerazione, dal tempo alla progressione, alle risposte oggettive fino alla sopravvivenza globale. Ma l’anticipo terapeutico offerto da avelumab, il cui trattamento viene avviato nel momento di massimo controllo della malattia, sembra offrire le garanzie maggiori per un controllo a lungo termine della malattia. Si tratta di una opportunità terapeutica efficace in tutti i setting di pazienti, indipendentemente dall’età, dall’estensione di malattia e dal tipo di terapia effettuato. Si tratta quindi di una opportunità terapeutica che dovrebbe essere proposta a tutti i pazienti con carcinoma uroteliale metastatico.

4. Bibliografia

  1. 1. Alberto Martini, Daniele Raggi, Giuseppe Fallara, Luigi Nocera, Julianne G. Schultz, Federico Belladelli, Laura Marandino, Andrea Salonia, Alberto Briganti, Francesco Montorsi, Thomas Powles, Andrea Necchi.  Immunotherapy versus chemotherapy as first-line treatment for advanced urothelial cancer: A systematic review and meta-analysis. Cancer Treatment Reviews 104 (2022) 102360
  • 2. Joaquim Bellmunt, Begona P. Valderrama, Javier Puente, Enrique Grande, M. Victoria Bolos, Nuria Lainez, Sergio Vazquez, Pablo Maroto, Miguel ´Angel Climent, Xavier Garcia del Muro, Jose ´Angel Arranz, Ignacio Duran. Recent therapeutic advances in urothelial carcinoma: A paradigm shift in disease management. Critical Reviews in Oncology / Hematology 174 (2022) 103683
  • 3.Petros Grivas, Evgeny Kopyltsov, Po-Jung Su, Francis X. Parnis, Se Hoon Park, Yoshiaki Yamamoto, Peter C. Fong, Christophe Tournigand, Miguel A. Climent Duran, Aristotelis Bamias, Claudia Caserta, Jane Changm, Paul Cislo, Alessandra di Pietro, Jing Wango, Thomas Powles. Patient-reported Outcomes from JAVELIN Bladder 100: Avelumab First-line Maintenance Plus Best Supportive Care Versus Best Supportive Care Alone for Advanced Urothelial Carcinoma. https://doi.org/10.1016/j.eururo.2022.04.016 EUROP EAN UROLOGY 2022

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trattamento immunoterapico
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