La guerra agisce in maniera devastante sulla psiche dei bambini, con effetti drammatici che dureranno generazioni
Il conflitto in Ucraina, Gaza, Sudan, Siria e purtroppo tanti altri posti del mondo, ha costretto negli ultimi anni milioni di bambini a vivere la tragedia della perdita di familiari, della fuga dalle proprie case, del dover vivere con la costante paura delle bombe, del suono dei fucili, della precarietà, del dolore fisico, della fame, delle malattie, della violenza di tutti i tipi. Fino al 2022 si stimava che oltre un bambino su sei nel mondo, pari a 468 milioni, vivesse in aree di conflitto attivo. Già tale cifra rappresentava il doppio rispetto a quella dei bambini colpiti dalla guerra a metà degli anni ’90: ma i numeri di questi ultimi anni sono cresciuti in maniera impressionante.
Basti pensare che più della metà dei bambini in Ucraina è stata costretta a fuggire entro il primo mese del conflitto con la Russia. Nella Striscia di Gaza, si stima che 850.000 bambini abbiano perso le loro case e siano stati costretti a fuggire, quasi 15.000 siano morti, sofferenze di fame e malattie praticamente per tutti. In Sudan quadro ancora più terrificante con circa quattro milioni di bambini sfollati. Molteplici ricerche evidenziano che il trauma della violenza ha un impatto profondo sul sistema nervoso dei bambini, aumentando il rischio di disturbi psicologici e persino influenzando la loro salute fisica nel lungo termine. Le ragioni sono oggi comprensibili grazie ai moderni studi di neurofisiologia delle emozioni.
L’esposizione alla violenza o le condizioni che pongono a rischio la vita, stimolano il cosiddetto ‘sistema automatico di difesa’, situato nell’area limbica del cervello (amigdala, ippocampo, corteccia preorbitaria, ecc..). Da lì si innesca una cascata di neurotrasmettitori (adrenalina, cortisolo, ecc..) che genera effetti immediati su cuore, muscoli, respirazione, apparato cardiovascolare. È la parte più antica dell’evoluzione filogenetica ed ha avuto un compito fondamentale nel salvare dall’estinzione la specie Homo Sapiens.
La corteccia prefrontale, cioè quella parte del cervello dove si sviluppano ragionamenti fini, si analizzano le situazioni, si comprende, si narra ciò che sta accadendo, subisce un’esclusione nella fase acuta della violenza (fenomeno noto come ‘allagamento emozionale’). A seconda dell’intensità, della durata, del ripetersi o meno della violenza, vi sarà una maggiore o minore attivazione del sistema di difesa e un adattamento di ‘sopravvivenza’.
Le dinamiche accennate ci danno ragione della frequente incapacità di chi ha subito traumi di violenze nel ricordare e nel narrare ciò che ha vissuto. Altresì quello che la mente non ricorda lo ricorda il corpo (in particolare l’amigdala, considerata la sede della memoria emozionale): sogni intrusivi, flashback, reazioni incontrollate, disturbi del sonno, ansia, ecc… possono permanere a lungo, fino a cronicizzarsi in una patologia denominata disturbo da stress post traumatico (PTSD).
Le capacità individuali di resilienza, che hanno una base genetica e familiare, possono essere attivate da un adeguato sostegno psicologico post-trauma. Sul come sarà gestito il post trauma vi potrà essere la differenza nel conservare solo un ricordo doloroso di quanto vissuto oppure una ferita invalidante, che condizionerà la vita individuale e le relazioni sociali e familiari in maniera dolorosa e spesso tragica. Questo è valido per gli adulti e, con meccanismi simili ma più gravi e intensi, per i bambini. Gli effetti della violenza lasceranno il loro veleno per generazioni.
Pertanto, se da un lato non vi è alcun dubbio che la guerra abbia tra le sue vittime non solo i bambini che muoiono ma per tanti versi anche quelli che sopravvivono, investire nelle risorse per ‘ricostruire’ il loro equilibrio quando il conflitto sarà terminato rimarrà un debito da non dimenticare.
A cura di
Prof. Raffaele Arigliani – Docente Master di II livello – “Diritto, deontologia e politiche sanitarie” – Università degli studi di Cassino e del Lazio Meridionale –“, Direttore Scientifico Scuole di Counselling IMR
Fonti
Studio Harvard University
Child Psychiatry & Human Development
Studio dell’Utrecht University
European Child & Adolescent Psychiatry
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