Un recente lavoro scientifico ha dimostrato come le nanoparticelle possano essere decisive nella correzione di difetti genici e nella lotta contro il cancro
L’introduzione delle nanoparticelle lipidiche ha trasformato il panorama della terapia genica. Impiegate con successo nello sviluppo dei vaccini a mRNA contro il COVID-19, queste particelle hanno mostrato notevoli risultati nelle applicazioni cliniche. Tuttavia, la loro efficacia nell’incapsulare molecole di DNA di grandi dimensioni rappresenta ancora un’area poco esplorata.
La ricerca del NanoDelivery Lab della Sapienza, coordinata da Giulio Caracciolo e Daniela Pozzi, si propone di colmare questo vuoto. Nello studio pubblicato su Nature Communications, svolto in collaborazione con altri istituti italiani ed europei come l’Istituto Pasteur Italia, la Scuola Normale Superiore di Pisa e l’Università Tecnica di Graz in Austria e con il supporto del consorzio CERIC-ERIC (Central European Research Infrastructure Consortium), i ricercatori hanno ottenuto delle particelle con una morfologia unica che dimostrano una capacità di trasporto migliorata rispetto alle formulazioni tradizionali, aprendo la strada a nuove terapie geniche mirate.
La tecnologia sviluppata si avvale di nanoparticelle lipidiche progettate per incorporare DNA di grandi dimensioni. Queste particelle vengono poi ulteriormente modificate e rivestite con una corona biomolecolare composta da DNA e proteine plasmatiche. Grazie a questa ingegnerizzazione avanzata, le nanoparticelle lipidiche si trasformano in sofisticate nano-architetture biologiche, in grado di sfuggire al sistema immunitario e di migliorare l’efficacia della terapia genica.
“L’approccio innovativo del nostro studio dimostra una capacità di trasporto del DNA migliorata rispetto alle formulazioni classiche, garantendo al contempo una maggiore stabilità e una ridotta risposta immunitaria – spiega Giulio Caracciolo della Sapienza. Questo potrebbe consentire la correzione di difetti genetici e fornire strumenti per la lotta contro il cancro, rappresentando un passo importante verso terapie innovative per malattie difficili da trattare con i metodi attualmente in uso nella pratica clinica”
Clicca qui per leggere l’estratto originale dello studio.
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