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Sindrome dell’ovaio policistico, il prof. Unfer: “Non è sinonimo di sterilità”

Tempo di lettura: 2 minuti

Intervista nel corso della trasmissione “In Salute”, il professore ha parlato di una sindrome comune nelle donne

La sindrome dell’ovaio policistico rappresenta una patologia molto comune tra le donne, specie quelle giovani e causa effetti sul metabolismo e sulla produttività delle donna. Una serie di studi stanno portando all’individuazione delle soluzioni che possano aiutare a risolvere il problema. Tra questi, c’è il trattamento con Mio inositolo del quale il professore Vittorio Unfer è uno dei massimi promotori. Il ginecologo e docente presso la facoltà di Medicina e Chirurgia presso l’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, è intervenuto nel corso della trasmissione “In Salute” e ha parlato di questa sindrome e delle soluzioni.

Quella dell’ovaio policistico è tra le patologie più diffuse e ha un’incidenza del 10-15%. Causa anovulazione, una problematica molto sentita tra le donne che che possono sviluppare problemi di riproduzione e disturbi di altra natura. I sintomi sono visibili perché riguardano anche l’estetica. Siamo di fronte a un’alterazione ormonale. Quindi acne, eccesso di peluria in zone dove già ci sono o non dovrebbero esserci, alopecia androgenetica. E proprio quest’ultima ha un peso specifico importante perché ha un impatto anche psicologico nella donna che rischia di subire un forte contraccolpo”.

Il professore Unfer, però, è chiaro su un concetto in particolare: questa sindrome non è sinonimo di sterilità. Nasce da una predisposizione genetica.

La diagnosi non è complicata e ci sono chiare linee guida da seguire. Una visita specialistica, ecografia alle ovaie e un’analisi ormonale. Due di queste tre danno esito positivo per la manifestazione della sindrome”.

Come detto, ci sono tante cure che possono ridare la fertilità. Il dottor Unfer ha puntato decisamente sul mio inositolo, una sostanza naturale prodotta anche dall’organismo”

Riesce a ripristinare l’ovulazione ed è in grado di migliorare segni e sintomi della malattia. Dagli studi fatti, può esserci la riattivazione dopo tre mesi dal trattamento. Ovviamente, però, non si tratta della pillola magica, ci sono pazienti che non hanno risposta con questa tipologia di trattamento. Noi comunque continuiamo con gli studi”.

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