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La storia dell’uomo che ha resistito all’Alzheimer

Tempo di lettura: 2 minuti

Il suo Dna ha rallentato lo sviluppo della malattia. Ne parla un’analisi descritta sulla prestigiosa rivista ‘Nature Medicine’

Le mutazioni genetiche possono togliere così come possono dare. Parliamo in questo caso di anni di vita, quelli di cui ha beneficiato un uomo colombiano che, portatore della variante genetica Presenilina 1, avrebbe dovuto sviluppare una forma precoce di Alzheimer entro i 40 anni. Non è andata così. Egli ha condotto una vita normale fino ai 67 anni, quando effettivamente sono comparsi i primi segnali del declino cognitivo moderato. L’uomo è poi morto nel 2019 a 74 anni. Quello che è successo è stato descritto su Nature Medicine da un team dell’Università di Antioquia di Medellin.

In particolare, dalle scansioni cerebrali è emerso il processo di atrofizzazione del cervello, con la presenza di placche di beta amiloide e grovigli di proteina tau tipiche di persone che soffrono di demenza grave. Ma tutto ciò è avvenuto decenni dopo il previsto grazie a una seconda mutazione genetica, che ha di fatto annullato gli effetti della prima. In questo caso, il gene coinvolto è Reln, già noto per codificare la proteina reelina, correlata a oltre venti anni di resistenza alla forma ereditaria di Alzheimer che aveva colpito l’uomo. La mutazione ha protetto una piccola porzione del cervello del paziente, la corteccia entorinale, essenziale per la memoria. In quell’aria, i livelli di proteina tau erano molto bassi.

In genere, i portatori della mutazione Presenilina 1 cominciano ad accumulare placche amiloidi già a 20 anni. A 30 anni compaiono anche gli accumuli dell’altra proteina coinvolta nello dell’Alzheimer, la tau. I primi disturbi cognitivi si manifestano ai 45 anni, e prima dei 50 ai pazienti ricevono la diagnosi di demenza conclamata. Di solito queste persone muoiono intorno ai 60 anni. Gli scienziati colombiani studiano da anni il fenomeno su un vasto gruppo di pazienti connessi da vari legami di parentela. Su un campione di 6.000 persone, i ricercatori hanno scoperto che ben 1.200 di esse presentavano questa pericolosa mutazione. 

Clicca qui per leggere l’estratto originale dello studio pubblicato su Nature Medicine.

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