Prosegue il focus sul ruolo del chirurgo oncologo. Ancora una volta è l’esperto Prof. Marano a raccontarci nel dettaglio i molteplici compiti di questa delicata figura
La chirurgia oncologica è quella branca della medicina che si occupa della terapia chirurgica del cancro attraverso la rimozione dello stesso dall’organismo del paziente. Quando si rimuove un cancro è possibile anche eliminare parte del tessuto circostante che può contenere cellule cancerose avendo l’obiettivo di essere quanto più radicali possibile. L’operazione è effettuata da parte di un chirurgo oncologo specializzato.
Di recente, Italian Medical News ha intervistato un esperto in materia: il Prof. Luigi Marano, Chirurgo Oncologo presso l’Azienda Ospedaliera-Universitaria Senese e Professore Associato presso l’Università degli Studi di Siena. Nella citata intervista (che puoi leggere cliccando qui) il Prof. Marano ha esposto una serie di temi e concetti relativi alla figura del chirurgo oncologo: dall’importanza della multidisciplinarietà al concetto della fragilità, passando a necessità urgenti come quella di introdurre, a livello istituzionale, il cosiddetto ‘core curriculum’ specifico per la chirurgia oncologica. Abbiamo deciso dunque di intervistare nuovamente l’esperto, ponendo nuove domande e ricevendo altrettante interessanti risposte.
Un rapporto in evoluzione
Professore, qual è la relazione che si instaura tra il chirurgo oncologo e l’oncologo di trattamento? Come si rapportano queste due figure?
“Innanzitutto si tratta di collaboratori di una stessa equipe. Mi lasci passare la confidenza, in genere parliamo prima di amici e poi di colleghi. Ciò sicuramente ha un risvolto positivo nell’ambito del rapporto professionale. L’oncologo medico così come il radioterapista oncologo sono nostri alleati e tutti insieme combattiamo contro una malattia per conseguire lo stesso obiettivo. Dunque, si tratta di un rapporto di assoluto rispetto, collaborazione e di condivisione di informazioni. Tra l’altro possiamo parlare anche di evoluzione di questo rapporto: infatti, prima l’oncologo medico lavorava separatamente dal chirurgo e dal radioterapista. In passato erano delle discipline che non comunicavano o comunicavano poco fra loro. Oggi si va verso una visione maggiormente olistica del paziente, che pone il malato al centro del sistema di cura. Esiste il malato e non la malattia“.
“Questo è un grande cambiamento. se noi iniziamo ad avere questo approccio filosofico-scientifico, per quanto possa sembrare una contrapposizione, noi siamo in grado di fornire al paziente un trattamento ‘personalizzato’ e un trattamento di precisione. Entriamo quindi nella cosiddetta era della ‘Precision Medicine’ e della ‘Precision Surgery’. Il tutto con una visione globale del paziente, a 360°, e ciò ci permette di offrire il ‘Best Treatment’, ovvero il miglior trattamento possibile al paziente garantendo, nei limiti che pone il preciso contesto, un miglioramento in termini di sopravvivenza e in termini di qualità di vita del paziente. La cura centrata sulla persona sottolinea, quindi, anche l’importanza di conoscere la persona dietro il paziente come un essere umano con ragione, volontà, sentimenti e bisogni, per coinvolgerlo come partner attivo nel processo di cura e nel suo trattamento”.
Sinergia tra conoscenza medica e nuove tecnologie
In prospettiva futura, quali sono gli orizzonti della chirurgia oncologica anche in termini tecnologici?
“Negli ultimi decenni siamo stati spettatori di un progressivo sviluppo della tecnologia, soprattutto nell’ambito delle scienze chirurgiche e, ancor di più, della chirurgia oncologica. Un esempio è rappresentato dallo sviluppo e dall’applicazione sempre più capillare degli approcci mininvasivi. Essi hanno costituito una vera e propria ‘rivoluzione’ concettuale soprattutto nel campo applicativo della chirurgia oncologica. Si è passati dall’era (parliamo del 1800) in cui venivano timidamente eseguite le prime procedure di chirurgia ‘eroica’, con l’obiettivo di asportare la malattia, fino agli anni ’30-40 del ‘900 in cui più si era demolitivi, più si riteneva di ottenere consistenti chances di cura. Oggi, invece, la chirurgia mininvasiva, laparoscopica e robotica, ha contribuito ad invertire tale tendenza. Si sente sempre più spesso parlare di trattamento conservativo: ecco che quindi si adotta un approccio chirurgico resettivo limitato nel tentativo di preservare l’organo e, soprattutto, di conservarne la sua funzionalità”.
“Insomma, una vera e propria sinergia tra conoscenza medica e nuove tecnologie. E’ necessario, però, sottolineare che il chirurgo oncologo non può e non deve mai perdere di vista il proprio fine nella scelta dell’approccio: la radicalità del trattamento della malattia neoplastica. Questo obiettivo deve sempre essere perseguito indipendentemente dall’approccio scelto. Se il chirurgo ritiene l’approccio laparoscopico/robotico non efficace in un preciso contesto, è necessario eseguire l’intervento chirurgico secondo l’approccio open tradizionale. Ed ecco che torniamo al concetto precedente: ‘Precision Medicine’ e ‘Precision Surgery’”.
Un prestigioso riconoscimento
Professore, chiudiamo con una domanda un po’ più personale: di recente, la prestigiosa rivista internazionale ‘World Journal of Gastrointestinal Oncology’ l’ha “premiato” dedicandole la copertina del volume uscito lo scorso 9 settembre. Sono state, in particolare, le attività di ricerca scientifica, il trattamento chirurgico delle neoplasie addominali e l’applicazione delle nuove tecnologie mininvasive, laparoscopiche e robotiche a destare la loro attenzione. Cosa può dirci in merito? Che emozione ha provato?
“E’ per me motivo di grande orgoglio aver ricevuto tale premio internazionale che sugella la mia costante attività pluriennale di chirurgo e di ricercatore. E’ il riconoscimento della costanza, della dedizione e soprattutto del sacrificio personale che si sono resi necessari per lo sviluppo e la definizione delle mie numerose ricerche nel campo delle malattie funzionali (ad esempio: acalasia esofagea, malattia da reflusso gastro-esofageo, ernie iatali) ed oncologiche dell’esofago e dello stomaco. In aggiunta a ciò, l’esperienza nel campo della chirurgia mininvasiva laparoscopica e robotica maturata in un gruppo chirurgico di riconosciuto prestigio mi ha consentito di poter essere stato, nel 2018, il primo chirurgo ad eseguire in Italia un delicato intervento chirurgico all’esofago utilizzando contemporaneamente il robot daVinci e la stampa 3D“.
“Non da ultimo, le numerose iniziative attuate durante il periodo in cui ho avuto l’onore e l’onere di coordinare la sezione giovani della Società Italiana di Chirurgia Oncologica, tra cui quella di aver riunito, per la prima volta in Italia, i giovani chirurghi oncologi, oncologi medici e radioterapisti oncologi assieme ai nutrizionisti per tracciare strategie di intervento condivise a livello multidisciplinare per lo screening, la diagnosi ed il trattamento della malnutrizione del paziente oncologico. Insomma, una serie di risultati che hanno contribuito a suscitare l’attenzione dei colleghi d’oltreoceano i quali hanno deciso poi di procedere al conferimento del riconoscimento”.
La ‘vera’ gavetta
L’emozione che ho provato? Soddisfazione immensa che può provare solo un orfano di Carabiniere che, ormai dieci anni or sono, dopo una Laurea in Medicina ed una Specializzazione in Chirurgia Generale conseguite presso l’Università della Campania ‘Luigi Vanvitelli’, è stato costretto a lasciare la propria famiglia e la propria terra con una valigia di cartone ricolma di sogni, ha dovuto costruire altrove il proprio futuro lottando contro pregiudizi e preconcetti, facendo la ‘vera’ gavetta a partire dal servizio 118, passando per il pronto soccorso ed arrivando poi ai reparti chirurgici solo dopo aver scalato la piramide a partire dal gradino più basso, confidando sempre e solo nelle proprie potenzialità e non perdendo mai di vista il proprio obiettivo. Il tutto con la consapevolezza e l’entusiasmo di dover assumersi, per il resto della vita, la responsabilità della missione di medico“.
(Clicca qui per approfondire il riconoscimento ottenuto dal Prof. Marano).
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