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Una nuova tecnica che “spegne” l’ipercolesterolemia

Tempo di lettura: 3 minuti

È possibile intervenire su un particolare gene difettoso, noto per causare l’ipercolesterolemia, senza modificare il DNA

Una nuova strategia per spegnere l’ipercolesterolemia. Ma facciamo un passo indietro per spiegare bene il contesto. Dopo l’editing genetico, cioè la modifica mirata della sequenza di DNA di un gene, arriva quello epigenetico: la possibilità di modulare il livello di attivazione di un gene senza intervenire sulla sua sequenza. Si tratta di un ambito di ricerca diventato molto attivo negli ultimi anni e ora un articolo sulla rivista ‘Nature’ propone la prima prova della sua efficacia a lungo termine nello spegnimento di un gene in vivo, in un organismo modello. A firmare il lavoro è il team del Dott. Angelo Lombardo, esponsabile del laboratorio di Regolazione epigenetica e modificazione mirata del genoma all’Istituto ‘San Raffaele’ Telethon per la Terapia Genica (SR-Tiget) di Milano.

Il gene in questione prende il nome di PCSK9 ed è coinvolto nella regolazione dei livelli di colesterolo nel sangue. Alcune varianti mutate di questo gene causano l’ipercolesterolemia familiare, ovvero una condizione genetica rara caratterizata dal rischio elevato di gravi malattie cardio e cerebro-vascolari, come infarto e ictus, anche in giovane età. “In alcuni pazienti con la malattia, il gene è più attivo del normale e questo comporta una minor efficacia delle cellule del fegato nel catturare il cosiddetto colesterolo cattivo, LDL spiega Lombardo. La conseguenza è un innalzamento dei livelli di colesterolo nel sangue, a sua volta responsabile dell’aumento di rischio cardio-vascolare”.

Il silenziamento epigenetico

Sotto il punto di vista clinico sono già arrivate alcune terapie innovative che puntano a inattivare questo gene in pazienti con ipercolesterolemia familiare, tra cui una piattaforma di editing genetico che agisce sulla sequenza di DNA. Altre ancora sono in fase avanzata di sperimentazione. Per vari motivi, inoltre, il gene PCSK9 rappresenta anche un ottimo bersaglio per la nuovissima tecnologia di silenziamento epigenetico.

Ma in cosa consiste il silenziamento epigenetico? Per capire di che cosa si tratta conviene partire dal concetto di epigenetica: un insieme di meccanismi che regola lo stato di espressione dei geni, cioè il fatto che siano accesi o spenti, senza intervenire sulla sequenza di Dna. Ad esempio, può trattarsi dell’aggiunta o dell’eliminazione di particolari gruppi chimici alla molecola di Dna, tale da renderla più o meno accessibile al macchinario cellulare che dà il via al processo responsabile della sintesi di proteine. Per silenziamento epigenetico si intende quindi la possibilità di spegnere l’espressione di un gene bersaglio intervenendo proprio su questi meccanismi. “È una sorta di interruttore molecolare che impedisce la conversione dell’informazione contenuta nel gene bersaglio nella proteina corrispondente” – chiarisce Lombardo, tra i pionieri mondiali di questa tecnologia.

Un’importante conferma

L’approccio ha mostrato fin da subito promettenti risultati nei test condotti in vitro su linee cellulari, ma mancava ancora la prova cruciale in vivo: un passo fondamentale per trasferire l’innovazione dal banco di laboratorio al contesto clinico. È proprio questa verifica che il team di Lombardo ha completato con successo per il gene PCSK9. Inizialmente, i ricercatori hanno progettato molecole (note come ‘editori’ nel gergo scientifico) progettate per identificare e sopprimere questo gene, arricchendo la sua sequenza con specifici gruppi chimici. Successivamente, gli editori sono stati incapsulati in nanoparticelle lipidiche, simili a quelle impiegate nei vaccini anti-Covid a base di mRNA, e somministrati a modelli murini per valutarne l’efficacia. “Abbiamo effettivamente confermato che nei modelli sperimentali trattati PCSK9 viene spento in modo stabile e a lungo termine – sottolinea Martino Alfredo Cappelluti, primo autore dello studio.

Si aprono grandi prospettive

Questo risultato positivo apre ora varie e interessanti prospettive, a partire dallo sviluppo di farmaci basati su silenziamento epigenetico per l’ipercolesterolemia, sia familiare sia acquisita, cioè non causata da mutazioni in singoli geni e decisamente più comune. “Rispetto ad altri trattamenti pur innovativi diretti contro PCSK9 – commenta Lombardo – questo approccio potrebbe avere numerosi vantaggi, trattandosi di una terapia da effettuare una sola volta nella vita, che non modifica la sequenza del Dna (con tutti i rischi che questo potrebbe comportare) e con effetti potenzialmente reversibili. Inoltre, la dimostrazione di efficacia ottenuta costituisce una base molto solida per sviluppare strategie di silenziamento epigenetico dirette sempre al fegato per altre malattie, come l’epatite B, ma anche ad altri organi, come il sistema nervoso centrale”.

Fonte.

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