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Long Covid, studio scopre biomarcatori predittivi negli adolescenti

Tempo di lettura: 2 minuti

I risultati della ricerca potrebbero aiutare a individuare nuove strategie per mitigare gli effetti a lungo termine del Covid

A cura di Davide Pezza

Potrebbe esserci un modo per sapere se un adolescente svilupperà il Long Covid dopo aver contratto il virus. Si tratterebbe di una serie di biomarcatori potenzialmente predittivi di una sindrome post-infezione che sembra essere sempre più frequente. A scoprirlo è stato uno studio pilota, coordinato da Marco Fiore e Carla Petrella dellIstituto di biochimica e biologia cellulare del Consiglio nazionale delle ricerche di Roma (Cnr-Ibbc). I risultati sono inoltre pubblici sulla rivista Diagnostics

Nello specifico, in una percentuale di guariti dal Covid-19 permane una condizione di malessere definita Long Covid. Questa è caratterizzata da astenia, affaticamento, respirazione difficoltosa e da sintomi cognitivi, come perdita di memoria, difficoltà di concentrazione, ma anche ansia e depressione. Questi vengono spesso indicati come ‘brain fog’ e sono alla base del quadro clinico definito come NeuroCovid. La grande scoperta dello studio è che i ricercatori hanno trovato un modo che può aiutare a individuare gli adolescenti più a rischio.

Le parole dell’esperto

Marco Fiore, uno dei due principali coordinatori dello studio, spiega nel dettaglio i risultati dello studio. “Abbiamo misurato i livelli di alcuni biomarcatori infiammatori e di due neurotrofine (Ngf e Bdnf). Questi sono fattori proteici che regolano la crescita, la sopravvivenza e la morfologia dei neuroni, nel siero di una piccola coorte di ragazzi e ragazze che avevano contratto l’infezione durante la seconda ondata della pandemia, tra settembre e ottobre 2020, ma negativi al momento del prelievo”. La ricerca ha visto la suddivisione dei ragazzi in 3 gruppi: asintomatici, sintomatici acuti e sintomatici acuti che nel tempo hanno sviluppato sintomi del Long Covid.

“Questi dati – prosegue Fiore – sono stati poi confrontati con i valori emersi da un gruppo campione che non aveva contratto la malattia. Abbiamo riscontrato che i livelli sierici di Ngf erano inferiori in tutti gli adolescenti che avevano contratto l’infezione da Sars-Cov-2, rispetto ai controlli sani. La relazione inversa fra livelli di Nfg e sindromi da stress – prosegue l’esperto – è ampiamente riportata dalla letteratura scientifica”. Nella sostanza, la ricerca ipotizza che la diminuzione di Ngf rifletta un’attivazione persistente dell’asse dello stresso, dovuta a un effetto diretto del virus oppure agli effetti psico-sociali conseguenti all’isolamento e a tutte le condizioni scaturite dai periodi di quarantena.

Gli esperti approfondiranno gli studi. La ricerca sarà allargata a una coorte di adolescenti più ampia. “I dati dello studio supportano però gia l’ipotesi che le variazioni sieriche di Ngf e Bdnf rappresentino un campanello d’allarme per l’effetto a lungo termine di Covid-19 – spiega ancora Fiore. Tramite questo studio si apriranno nuovi campi di indagine sia nell’ambito degli effetti fisici sia in quelli psicologici potenzialmente associabili al NeuroCovid” – conclude lo studioso.

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